Trieste, caso Coop in Tribunale: scatta la resa dei conti
TRIESTE Una prima puntata in un’aula civile di Foro Ulpiano il 16 febbraio. E un’altra in sede penale il 2 marzo, due giovedì più tardi e due piani più sopra. Palazzo di giustizia torna al centro della fine ingloriosa delle Coop operaie facendone entrare nel vivo la fase giudiziaria, con nuove udienze che esulano dalle precedenti sedute tecniche in cui magistrati e consulenti erano stati impegnati a certificare rimborsi ai risparmiatori, alienazioni di supermercati e posti di lavoro da salvare.
Inoculata la terapia, in effetti, è arrivata l’ora di risalire alle cause della malattia. Di dare la caccia alle presunte responsabilità. Ed è una ricerca che viaggia su due binari paralleli. In attesa delle decisioni che usciranno prossimamente dalla Sezione gip sui possibili processi a carico degli ex manager esautorati nell’ottobre 2014 (si legga a destra, ndr) il primo appuntamento è in sede civile.
E non è secondario, se è vero che chiama in Tribunale la Regione come ipotetico soggetto corresponsabile - per presunta omessa vigilanza in conseguenza al mancato rispetto delle disposizioni normative in ambito cooperativistico - del dissesto contabile delle Coop.
Un dissesto da cui sta derivando l’impossibilità per i titolari dei libretti di prestito sociale - nonostante il lavoro dell’avvocato Maurizio Consoli come liquidatore - di recuperare l’intero deposito congelato dalla magistratura proprio nell’ottobre 2014: un risparmio “tradito” da circa 103 milioni, frutto dei soldi affidati alle Coop da circa 17mila soci.
Giovedì 16 febbraio alle 10.30, davanti al giudice Francesco Saverio Moscato, è fissata infatti l’udienza introduttiva dell’azione di responsabilità civile promossa dall’avvocato Mario Reiner per conto di oltre duecento di questi risparmiatori sociali (222 per la precisione) nei confronti dell’amministrazione regionale.
Dalla quale pretendono di essere risarciti non degli eventuali danni morali (derivanti dal trovarsi di punto in bianco senza “musina”) ma della sola differenza, materiale, tra la somma originaria che vantavano nel libretto al momento del blocco giudiziario e il totale dei successivi rimborsi incassati dal piano di riparto di Consoli. Rimborsi che oggi si attestano al 70,6% (si legga sotto, ndr) e che dovrebbero arrivare alla fine all’81,4% indicato nel piano di concordato.
La causa dei 222 contro la Regione cita la presunta mancata osservanza della legge regionale 27 del 2007 (e delle sue successive modifiche) in materia di «vigilanza del comparto cooperativo», in particolare là dove viene prescritto che «le revisioni straordinarie» di una cooperativa, deliberabili dalla giunta regionale «ogni qualvolta se ne ravvisi l’opportunità», devono accertare tra le altre cose «il regolare funzionamento amministrativo-contabile dell’ente, la consistenza patrimoniale e lo stato delle attività e passività».
L’atto di citazione chiede perché dal 2012 (l’anno di una perizia straordinaria affidata dall’allora assessore alla cooperazione di Tondo Roberto Molinaro al revisore Lorella Torchio, in seguito alla quale il direttore del Servizio cooperazione di quel tempo Antonio Feruglio suggerì come «indispensabile» un «conferimento ad altro revisore di un nuovo incarico» ritenendo «il rilascio del certificato di revisione» chiesto da Torchio «non possibile e legittimo allo stato degli atti») la Regione non avesse mai commissariato le Operaie, lasciando che a farlo fosse direttamente il potere giudiziario nell’ottobre del 2014.
La Regione, in una memoria preparata dal collegio di legali costituito dal professor Fabio Padovini e da Ettore Volpe e Daniela Iuri dell’Avvocatura regionale, oltre a insistere sul fatto che all’ente spetta il mero controllo della mutualità (cioè la verifica che una cooperativa faccia la cooperativa), interpreta la metafora secondo cui la miglior difesa è l’attacco e ritiene «non privo di rilievo ai fini dell’accertamento della responsabilità il comportamento tenuto dai ricorrenti nel corso degli anni.
Essi, da un lato, hanno sottoscritto una operazione di finanziamento che di per sé non poteva e non può non presentare profili di rischio intrinseco. Dall’altro, pur essendo a conoscenza di una situazione a loro dire conclamata di dissesto, causata dalla sciagurata gestione, nulla hanno fatto... per evitare integralmente il danno, ad esempio chiedendo la restituzione delle somme depositate, limitandosi a pretendere genericamente che debba rispondere la Regione.
C’è però da chiedersi come mai per tutti questi anni non abbiano posto in essere, in qualità di soci, alcuna azione a tutela dei propri interessi». Pure il risparmiatore “disattento”, insomma, in questa memoria ha le sue colpe.
La Regione precisa anche che in seguito ai rilievi sul bilancio 2011 delle Operaie fatti pervenire nel 2013 all’amministrazione Serracchiani fresca allora di insediamento dal vecchio “prof” di ragioneria e socio Coop Livio Lonzar (gli stessi rilievi contenuti in un esposto da cui partì l’indagine della Procura che ora chiede cinque rinvii a giudizio) «alla data di presentazione della suddetta comunicazione le operazioni oggetto di segnalazione, riferite al bilancio 2011, risultavano in atti già verificate sia dagli organi di controllo propri della società sia dalle due revisioni, una straordinaria ed una ordinaria, nei confronti della cooperativa».
La parola ora al giudice Moscato. Potrebbe accogliere la richiesta della Regione di trasformare il cosiddetto “rito sommario” in ordinario, disporre nuovi termini per altre memorie o riservarsi già di decidere. Qualora venisse accolto il loro ricorso, sarebbero solo i 222 firmatari della citazione a essere rimborsati e non tutti i 17mila risparmiatori. Ma una sentenza del genere farebbe, come si dice, giurisprudenza. A livello teorico, se tutti i soci facessero poi ricorso e lo vincessero, alla Regione verrebbero a mancare non meno di 20 milioni.
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