Trieste: caso Alina, lo Stato “offre” 150mila euro

La proposta del Viminale alla famiglia dell’ucraina che si suicidò nel commissariato di Opicina
La sorella e la madre di Alina Bonar Diachiuk sulla tomba della giovane, a Sant'Anna
La sorella e la madre di Alina Bonar Diachiuk sulla tomba della giovane, a Sant'Anna

TRIESTE Per il ministero degli Interni vale 150mila euro la vita di Alina Bonar Diaciuk, la donna ucraina che nel mese di aprile del 2012 si è suicidata nel commissariato di Opicina, terrorizzata di dover tornare nel suo Paese. Ieri mattina, davanti al gip Giorgio Nicoli, l’avvocato dello Stato Marco Meloni ha proposto questa cifra «a totale ristoro dei danni». Lo ha fatto - praticamente - prima che di fatto iniziasse l’udienza preliminare e dunque ben prima dell’eventuale rivio a giudizio per chiudere, appunto in anticipo, la questione giudiziaria del danno risarcito e così ottenere le relative attenuanti.

Alina, chiesto il processo per 9 poliziotti
Alina Bonar Diaciuk

La proposta di risarcimento - sui cui esiti incombe un’eventuale possibile azione della Procura della Corte dei conti nei confronti dei responsabili - fa esplicito riferimento all’avviso di conclusione delle indagini preliminari del pm Massimo De Bortoli in cui compare il nome dell’ex responsabile dell’Ufficio stranieri Carlo Baffi e di tre poliziotti in servizio quel giorno al commissariato di Opicina.

Per Baffi l’ipotesi di reato è di sequestro di persona aggravato, la contestazione a carico dei tre agenti è, segnatamente, di “violata consegna e morte come conseguenza di altro reato”. I nomi sono quelli dei poliziotti Thomas Battorti, 37 anni, assistente capo, Roberto Savron, 42 anni, assistente capo, e Ivan Tikulin, 40 anni, agente scelto: erano gli agenti di stanza allora al commissariato di Opicina che erano finiti sotto inchiesta subito dopo il suicidio di Alina poiché risultavano in servizio nel momento in cui la giovane ucraina (chiusa in una cella di sicurezza del “loro” commissariato in attesa che nel week-end fossero perfezionate le pratiche per la sua espulsione, e terrorizzata dalla prospettiva di tornare in patria dove era stata condannata per omicidio e di subire eventuali ritorsioni da parte di organizzazioni criminali) aveva deciso di farla finita impiccandosi con una cordicella sfilata da una felpa.

Alina, chiesti 500mila euro di risarcimento al ministero
Il commissariato di Opicina

«Si tratta di una transazione. Questo vuol dire che non c’è la sicurezza che ci sia stata effettivamente una responsabilità. La nostra è stata una scelta opportuna e di umanità a fronte di una vita sfortunata spenta per mano propria in una situazione di abbandono. La cifra rappresenta una valutazione percentuale di come potrebbe andare il processo. È un atto di buona volontà», ha spiegato l’avvocato Marco Meloni.

Certo è che poco o tanto che siano 150mila euro, a cui vanno aggiunte le spese legali, le motivazioni che sottendono la decisione del ministero degli Interni appaiono fin troppo chiare. L’obiettivo evidentemente è quello di chiudere, al più presto, la questione che coinvolge anche altre vittime del commissariato di Opicina. Sono in tutto 159 stranieri che in pochi mesi, in quella stanza di detenzione, sono stati rinchiusi illegalemente, secondo il pm De Bortoli.

Un’agonia di 40’, i tre agenti non si sono accorti

Per queste detenzioni sono accusati oltre a Baffi, il suo vice Vincenzo Panasiti, 58 anni, Alberto Strambaci 48 anni, Cristiano Resmini, 45 anni, Alessandro De Antoni, 51 anni e Fabrizio Maniago, 46 anni. Cinque stranieri di quei 159 indicati nell’interminabile elenco delle parti offese ieri erano presenti in aula. Si tratta di cinque senegalesi che - tramite l’avvocato Andrea Di Roma - hanno annunciato l’intenzione di costituirsi parte civile contro chi li aveva imprigionati anche solo per una notte. Lo potranno fare però solo in occasione della prossima udienza fissata dal giudice Nicoli per il 19 gennaio del prossimo anno. Ma è facile ipotizzare che quella che ieri era una solo sparuta pattuglia nei prossimi mesi possa diventare più numerosa.

Le presunte vittime delle detenzioni appartengono a 37 nazionalità diverse. Nella lista c’è persino un rappresentante della Polinesia. I familiari di Alina sono stati rappresentati dall’avvocato Sergio Mameli. In aula i difensori di Baffi, Paolo Pacileo, e di Panasiti, Giorgio Borean. E poi tra gli altri gli avvocati Davor Blaskovic, Francesco Murgia, Giorgio Carta e Gianfranco Grisonich. Fuori dall’aula, in corridoio, un nutrito gruppo di rappresentanti dei sindacati di polizia.

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