Trieste buen ritiro per la pensione? I consigli di dieci triestini alla signora Donatella

TRIESTE Caro direttore, mi consiglierebbe di venire a vivere a Trieste? Inizia così la lettera arrivata qualche giorno fa via mail in redazione. Mittente è Donatella, una signora prossima alla pensione, residente a Milano, che negli anni ’80 ha abitato a Trieste, dove ha studiato Economia all’Università. Da qui arriva il quesito. Dove trascorrere gli anni del meritato riposo? A Trieste magari? Un guanto di sfida che abbiamo deciso di raccogliere, ascoltando le voci di dieci persone appartenenti a mondi diversi, che hanno dato il loro contributo, spiegando i motivi per cui Trieste può essere o meno la meta ideale per la pensione. Ne è uscito un affresco variegato, che non ha ovviamente la velleità di essere esaustivo, ma vuole fornire qualche spunto.
PAOLO CONDÒ - Giornalista sportivo

«È posto ideale per il relax ma non dà stimoli creativi»
rieste potrebbe essere la città ideale per chi vuole venire a viverci dopo la pensione, ma non per chi, in pensione, vuole ancora lavorare. Come il giornalista Paolo Condò che, una volta in quiescenza, nella sua città d’origine, il capoluogo giuliano, non ci verrebbe mai. Perché? «Per come sono fatto io, mi risulterebbe difficile pensare a un trasferimento a Trieste, una volta che mi sarò ritirato. Questa città per me è più vacanziera mentre una metropoli, come ad esempio Milano, dove vivo, è ideale per chi vuole continuare una certa attività e mi dà l’idea di novità mentre Trieste l’associo al riposo». Fa poi un esempio: «Quando vado a New York, per vacanza o lavoro, mi vengono in mente dieci buone idee in un giorno. A Milano me ne vengono abbastanza, a Trieste invece sono molto epicureo: vado in osmiza, vedo vecchi amici, mi godo la vista sul mare. Infatti c'è tutto: dalla spiaggia alla collina, si spazia molto. Io però non associo la creatività professionale a Trieste». —
FILIPPO GIORGI - Scienziato

«Il clima di Trieste non ha paragoni con quello di Milano, che purtroppo è uno dei peggiori in Italia». A dirlo è Filippo Giorgi, uno dei più importanti climatologi a livello mondiale, oggi direttore della sezione di Fisica della Terra all’Ictp. «Il clima milanese presenta inverni più freddi e umidi, con nebbia e ogni tanto pure qualche nevicata forte – sottolinea lo studioso –. Da noi, invece, ciò non succede, perché c’è il mare che agisce da termostato. L’estate nella città di Sant’Ambrogio è più calda e afosa rispetto a quella del capoluogo giuliano». Le temperature confermano il trend: «A gennaio, per esempio, la temperatura minima notturna di Milano (-2) è in media di 5 gradi in meno rispetto a Trieste (+3). Nel primo caso l’umidità è dell’86%, nel secondo del 67%. Le massime invece sono simili. D’estate, a Milano sono più alte di un paio di gradi, aspetto che si capovolge quando si parla di minime, più alte a Trieste». «Il problema – rileva Giorgi –, è la bora, dal rumore lugubre, che può durare anche una o due settimane».
ARIELLA REGGIO - Attrice

«C’è una vivacità culturale ricca e tutta da scoprire»
«Trieste, città meravigliosa, non ha nulla da invidiare a Milano dal punto di vista culturale. Anzi, ha in più la fortuna che qui tutto è più facilmente raggiungibile». Così l’attrice Ariella Reggio, che promuove a pieni voti il capoluogo giuliano quale città in cui si «vive divinamente», però «solo dopo aver viaggiato tanto». Una cultura che prende forma grazie anche alla numerosa presenza di teatri, «retaggio dell’epoca di Maria Teresa d’Austria». «E poi ci sono tante sollecitazioni da parte di gruppi di artisti giovani, che completano il panorama impegnandosi molto». Certo, avverte, «non siamo una metropoli, però questa città è da scoprire», caratterizzata com’è anche da «un’aria di piccola follia piacevole». Qual è il punto dolente, in particolare all’inizio, per chi viene da fuori? «I triestini sono da comprendere, assaporare lentamente», sottolinea l’attrice triestina, che conclude: «Sono simpatici e caciaroni, però sono anche gelosi della propria riservatezza».
PAOLO RUMIZ - Scrittore

«Manca del tutto un luogo che racconti la sua storia»
Una città meno internazionale di quello che sembra, senza un luogo della memoria, con le Rive obbligate a essere la culla delle grandi navi. Seppure il triestino abbia la fortuna di «non prendere nulla sul serio, in certi casi la sua salvezza, e di essere un po’ più europeo degli altri», la città, sottolinea lo scrittore Paolo Rumiz, rivela però qualche falla. «Trieste è stata italianizzata con le cattive. Se quindi si viene qui con l’idea che si parlino chissà quante lingue, beh, ci si sbaglia». Altra criticità il fatto che «hanno chiuso tutti i moli per attività private: si può passeggiare solo sul molo Audace». Il lungomare centrale, poi, è «stato monopolizzato dalle navi da crociera, che dovremmo invece fare ormeggiare più in là, perché non portano un soldo». «Manca totalmente - conclude - un luogo della nostra storia: la politica di destra ne ha paura, perché ci sono cinque secoli di Austria-Ungheria e quindi non abbiamo nulla che racconti la nostra gloriosa marineria ottocentesca. Se vuoi raccontare la storia della città, non sai dove andare».
NATALIA FILIPPELLI - Psicoterapeuta

«Cosmopolita e provinciale: qui si respira un’aria unica»
Arrivata a Trieste nel 2002 da Buenos Aires per un tirocinio legato all’Azienda sanitaria triestina e alla storia basagliana, Natalia Filippelli, 43 anni, psicoterapeuta di origine italiana del Centro di clinica psicoanalitica Jonas, si è innamorata della città, che non ha più abbandonato. «Quello che rende unica questa città è l’essere un “non luogo”, inteso come lo evidenziava già 100 anni fa Herman Bahr: una città “cosmpolita e provinciale” allo stesso tempo». «Questo – sottolinea – favorisce più che in altre città di medie dimensioni la libera espressione del singolo, ma anche la creazione di legami più forti all’interno della comunità. Quando questo funziona, anche se purtroppo vediamo ancora molte situazioni di disagio, produce integrazione e genera benessere. Lo spirito cosmopolita inoltre apre la possibilità al singolo di inventarsi modi soggettivi di abitare e vivere nella città. Al contempo – conclude – le sue dimensioni contenute favoriscono questo senso di comunità che a Trieste si sente in modo forte».
STEFANO COTUGNO - Comandante dei carabinieri

«Criminalità sotto controllo e cittadini ligi alle regole»
Comparata ad altre realtà italiane, anche non poco distanti da qui, Trieste presenta un tasso di micro-criminalità medio–basso e un tasso di criminalità importante praticamente assente. A confermarlo è il comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri Stefano Cotugno. Le ragioni di questi dati positivi sono di «carattere storico». «In primis perché è stata una città importante – specifica Cotugno –, centro d’interessi sociali, economici e politici. E poi la posizione geografica, che per alcuni versi può rivelarsi un disagio, per un altro genere d’interessi può invece essere un vantaggio, pur rimanendo la città territorio sensibile, perché terra di confine». Trieste è ancora un’isola felice anche per il «senso civico dei triestini, per la maggior parte rispettosi delle leggi e molto collaborativi a segnalare eventuali situazioni di disagio e degrado. A questo si aggiunge un disagio sociale abbastanza contenuto. Tuttavia mantenere in questo contesto alti livelli di sicurezza è molto impegnativo – conclude –, ma noi accettiamo la sfida».
MATTEO METULLIO - Chef

«Dai piatti di mare al Carso una cucina per tutti i palati»
«Sono stato via 17 anni da Trieste, ma ho fatto di tutto per tornarci». Basterebbe questa frase per convincere qualcuno a venire a vivere Trieste, ma Matteo Metullio, chef del ristorante Harry’s Piccolo, rincara la dose. «Lavoro in un ristorante – afferma –, il primo e unico stellato a Trieste, che si trova in una delle piazze più belle del mondo. Il capoluogo giuliano però offre tante altre nuove e vecchie realtà interessanti: dai buffet ai caffè storici (siamo la città del caffè, non dimentichiamolo), dai ristoranti sulle Rive, che cucinano pesce in maniera tradizionale, a quelli sul Carso, che invece propongono prodotti legati alla terra». Trieste, insomma, è per tutti i palati, «molto variegata». Per non parlare poi dei «produttori vitivinicoli, che oggi esportano non solo Italia ma in tutto il mondo». Infine, conclude Metullio, «ci troviamo in una posizione strategica: siamo sul confine e in pochi chilometri possiamo assaporare anche i prodotti tipici di Slovenia e Croazia e anche parte della cucina balcanica».
ALEXANDROS DELITHANASSIS - Esercente

«Caffè storici e comunità per assaporare l’incontro»
«C’è un ritmo riflessivo e più tranquillo qui a Trieste, che non rincorre le mode e che lega il triestino all’abitudine di andare sempre nello stesso posto preferito a bere il caffè. I caffè, un tempo frequentati dalla borghesia e quindi da donne e intellettuali, sono luoghi di studio, scambio, conversazione ma anche di solitudine, aspetti che si possono vivere in particolare in una città come Trieste». La tradizione dei locali storici, che caratterizza il capoluogo giuliano, si riscontra anche in questo modo di vivere secondo il titolare dell’Antico Caffè San Marco, Alexandros Delithanassis, di padre greco e madre friulana. Un mix culturale il suo che peraltro è diffuso in città e che spinge a conoscere molto più facilmente che altrove realtà diverse. «Noi greci siamo ortodossi come i serbi – spiega –, con cui abbiamo una certa fratellanza, e metà della comunità ebraica è di origine greca: quindi quando entri in questi circuiti delle minoranze, riesci a vivere tanti universi messi assieme».
MICHELA FLABOREA - Imprenditrice socio-assistenziale

«Assistenza d’avanguardia ma tanto individualismo»
Il capoluogo giuliano offre «dei servizi socio-sanitari all’avanguardia, soprattutto per gli anziani, avviati già a fine anni ’80, in anticipo rispetto ad altre regioni italiane». Questa, però, secondo Michela Flaborea, presidente di Televita, è solo una faccia della medaglia. Dall’altra parte infatti «Trieste si presenta come una città caratterizzata da un certo individualismo, abitata da molti nuclei monofamigliari e tanti anziani soli». Quali sono le conseguenze di questo modo di vivere? «La mancanza di una rete famigliare a sostegno della persona debole oggi è supplita da una radicata presenza delle istituzioni, dai privati, dalla cooperazione sociale, dal volontariato. Ma – sottolinea – in una prospettiva in cui le risorse economiche saranno limitate, la comunità dovrà attrezzarsi e farsi sempre più carico dei fragili. Le persone dovranno accettare che l’intervento pubblico ha dei limiti e la città dovrà esprimere nuove soluzioni. Le risorse vanno messe in rete per produrre economie di scala e buone pratiche condivise».
MICHELA ZANETTI - Geriatra

«Realtà a misura di anziano che batte l’isolamento»
«Trieste è a misura di anziano, perché garantisce moltissime iniziative che aggregano gli anziani, anche da un punto di vista culturale. Si tratta di persone estremamente attive, inserite all’interno della vita cittadina». È l’osservazione di Michela Zanetti, direttore della Scuola di specializzazione in Geriatria dell’Università di Trieste, che al momento coinvolge 16 studenti, «uno in più rispetto all’anno scorso, poiché è stato concessa a livello ministeriale un’unità in più per Trieste, a dimostrazione dell’importanza di questa scuola». Ma i fattori positivi rilevati nel contesto triestino, in che modo favoriscono le persone anziane? «La città – risponde Zanetti – ha un numero di centenari elevato e proprio su di loro è stato avviato uno studio in collaborazione con l’Azienda sanitaria e altri enti. Quelli che noi in termini medici chiamiamo “grandi geronti”, in tanti casi hanno una grande lucidità e una qualità della vita invidiabili. Questo anche perché la città non isola l’anziano». — Quali sono le conseguenze di questo modo di vivere? «La mancanza di una rete famigliare a sostegno della persona debole oggi è supplita da una radicata presenza delle istituzioni, dai privati, dalla cooperazione sociale, dal volontariato. Ma – sottolinea – in una prospettiva in cui le risorse economiche saranno limitate, la comunità dovrà attrezzarsi e farsi sempre più carico dei fragili. Le persone dovranno accettare che l’intervento pubblico ha dei limiti e la città dovrà esprimere nuove soluzioni. Le risorse vanno messe in rete per produrre economie di scala e buone pratiche condivise».
E voi cosa consigliereste a Donatella, che si si chiede se Trieste è la città giusta per vivere dopo il lavoro? Meglio qui o in una metropoli come Milano? E' ancora la città che lei si ricorda ai tempi dell'università? Qualità dei servizi, bellezze naturalistiche e architettoniche, occasioni per il tempo libero, i triestini... sono un buon biglietto da visita? Potete dirglierlo, compilando il form qui sotto:
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