Trieste, assemblea infuocata e accuse in Ferriera: in bilico il sì all’accordo
TRIESTE La fabbrica è lacerata. La maggioranza dei sindacati schierata per il sì all’accordo con Siderurgica Triestina faceva immaginare un facile via libera da parte dei lavoratori della Ferriera, ma l’assemblea dei dipendenti tenutasi ieri a Servola si è svolta in un clima infuocato, con accuse reciproche all’interno della Rsu e non poche contestazioni degli operai alle sigle favorevoli. I pronostici sono andati a farsi benedire e bisognerà attendere lunedì affinché lo spoglio delle schede dica se le maestranze accetteranno le condizioni stabilite al tavolo del ministero dello Sviluppo economico o chiederanno la riapertura della trattativa. Ammesso che l’azienda voglia anche soltanto considerare questa seconda ipotesi e non si orienti invece per andare avanti a prescindere.
La riunione comincia attorno all’una e si protrae per tre ore. La sala è gremita, come non lo era da venticinque anni in qua. L’accordo è presentato dal segretario provinciale della Uilm Antonio Rodà, sostenuto con successivi interventi da Umberto Salvaneschi (Fim Cisl), Cristian Prella (Failms) e Sasha Colautti (Usb). Sono i rappresentanti dei quattro sindacati favorevoli alla stipula dell’accordo, nella convinzione che la proprietà non sia disposta a riconoscere niente più di quanto contenuto nel testo. Di tutt’altro avviso la Fiom, che con Marco Relli e Thomas Trost definisce le garanzie poco chiare e insoddisfacenti, invitando l’assemblea al no nella speranza che la società stia bluffando e che accetterà di riaprire il confronto. La divisione è plastica anche visivamente, con i sindacalisti dei fronti opposti seduti in due tavoli diversi e un vistoso vuoto nel mezzo.
La situazione in fabbrica è esplosiva. Due lavoratori sfiorano la rissa nel corso dell’assemblea e contestazioni anche pesanti arrivano all’indirizzo dei sindacati favorevoli da parte di alcuni lavoratori dell’area a caldo. Particolarmente bersagliati sono gli autonomi della Failms (tre rappresentanti su sei nella Rsu), ritenuti troppo morbidi nei mesi passati. Ma non mancano critiche neppure alla Fiom per la scelta di abbandonare il tavolo romano senza partecipare alla stesura del documento finale. E, ancora, si registra un nuovo scontro tra Uilm e Fiom, per la diffusione da parte di quest’ultima di una versione ancora non definitiva dell’accordo.
Parlare con i lavoratori all’entrata non è un metodo statistico, ma prima della riunione la maggioranza dei dipendenti interpellati dai giornalisti risponde di essere contraria all’accordo. All’uscita le facce sono più dubbiose e molti ritengono di non avere ancora sufficienti elementi per valutare la bontà o meno della proposta. Fatto sta che il sì sembra minoritario e lo si capisce anche dalle facce e dalle dichiarazioni dei sindacalisti all’uscita dalla riunione, dove speravano in un’altra accoglienza.
I lavoratori voteranno domani, venerdì e lunedì, quando avverrà lo spoglio del referendum. I dipendenti si arrovellano sui contenuti dell’intesa, che recepisce il piano di riconversione da 180 milioni presentato da Arvedi e promette esuberi zero. In realtà le uscite previste sono 163, fra interinali trasferiti in altre aziende, prepensionamenti e rinunce volontarie incentivate. Dubbi fra gli addetti sollevano anche l’assenza delle istituzioni (pur chiamate in causa nel testo) e le tempistiche, perché in molti considerano due anni di cassa integrazione insufficienti a coprire i tempi della riconversione. Nel frattempo l’azienda gioca la sua parte nella campagna elettorale: di ieri la diffusione della lettera scritta ai sindacati, in cui Siderurgica Triestina ribadisce i suoi impegni, ovvero 346 euro di maggiorazione mensile alla cassa integrazione, un’integrazione economica per i pensionandi pari a 1.175 euro lordi ogni mese di Naspi e un incentivo all’uscita da 28 mila euro lordi per chi volesse lasciare il posto di lavoro. Ma le incertezze maggiori sono sulle conseguenze della propria scelta nel referendum, perché il no non obbliga Siderurgica a sedersi nuovamente al tavolo e il sì non viene percepito come una sicurezza rispetto a un piano industriale che praticamente tutti i lavoratori intervistati considerano poco concreto.
Prima dell’assemblea il “no” è il sentimento prevalente. Per Marco, «tante promesse e nessuna certezza, tanto più che i sindacati firmatari non ci hanno nemmeno mostrato l’accordo». La rabbia è tanta: «Mandano a f...... 600 famiglie – si scalda Dario – dandoci 900 euro di cassa. Non faremo la spesa: il danno è per tutta la città. A 58 anni io poi dove vado fra due anni? Sto all’opposto della Fiom, ma voto no». Una signora porta il pranzo al figlio turnista: «Dipiazza li prende tutti in Comune? Cominci ad allargare il municipio e si vergogni». Due operai entrano assieme in fabbrica: «I sindacati per il sì fanno solo promesse, ma ci fregheranno. E intanto Fedriga non lo abbiamo mai visto». Votano no anche due giovani del laminatoio «anche se abbiamo il posto sicuro», ma nell’area a freddo c’è anche chi il lavoro sta per perderlo, come Axl: «Sto mandando in giro il curriculum. Voto no per i colleghi che restano». Chi la pensa all’opposto è mosso non da fiducia nella riconversione, ma dalla speranza di ottenere qualcosa in più nel mentre. «Se vince il no – dice Luca – la chiusura arriva lo stesso ma non ci sarà copertura della cassa maggiorata». Fabrizio è pure lui a favore: «Le prospettive sono queste e di meglio non c’è, ma fra due anni che succede visto che saremo in alto mare con i lavori? Prendiamoci almeno le certezze che ci sono nel mezzo».
Ma i dubbi sono forse la posizione prevalente: «Non ho capito niente – dice un operaio uscendo dall’assemblea – e l’unica cosa che so è che ho cinque figli da sfamare». E un lavoratore di origine balcanica: «Ho comprato casa due mesi fa. E adesso?». —
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