Trieste, addio all’oste Mario re del buffet alla triestina

Il suo locale, aperto in via Torrebianca nel 1978, era il preferito della zona Impiegati e agenti di commercio amavano la sua “caldaia” e la sua simpatia
Di Furio Baldassi

L’enogastronomia triestina perde un altro personaggio importante. Se n’è andato improvvisamente Mario Valenta. Aveva appena compiuto 81 anni. Gli sono stati fatali i postumi di una banale caduta subita appena venti giorni fa. Mario, ovvero Mario “Cavra” per le sue origini istriane esibite orgogliosamente ma prima ancora per l’insegna del suo buffet di via Torrebianca 41, è stato per decenni l’immagine stessa di una certa buffetteria locale, ruspante e di successo.

Insediato in Borgo Teresiano nel 1978, in quel foro che i triestini, con la consueta ironia, chiamavano “La Mona de Ferro” in quanto la sua insegna originale era stata proprio una medievale cintura di castità, in pochi anni “Da Mario” era diventato un punto di riferimento per tutti i dipendenti dei vari uffici della zona, ad incominciare da quelli della Regione Friuli Venezia Giulia, all’epoca ancora tutti ripartiti tra la via Carducci e la piazza Oberdan.

Negli allora pochi coperti interni (il gazebo all’aperto, dopo la pedonalizzazione della via, è roba di parecchi anni dopo) si succedevano, soprattutto a pranzo, anche tre o quattro turni di pasti. Se il banco, infatti, con il suo meraviglioso “cotto” caldo, il suo “misto caldaia” e le sue tartine assortite (indimenticabile la “Sputnik” che, per la sua piccantezza, ha fatto piangere generazioni di “patocchi”) era il preferito di chi amava i pranzi “mordi e fuggi”, i tavolini erano il feudo di chi, viceversa, amava nella pausa pranzo anche tenere un minimo di conversazione e concedersi qualche piatto caldo, come le ottime paste o gli gnocchi, con vari tipi di condimenti.

Quasi incredibile, al riguardo, la velocità e la competenza con la quale Valenta riusciva a esaurire tutti gli ordini senza far attendere nessuno più del lecito. Un attimo prima lo vedevi tagliare in velocità fette su fette di prosciutto e quello successivo già si aggirava tra i tavoli per quattro chiacchiere con i clienti con cui era più in confidenza. Amava soprattutto il calcio e la Triestina, quella di Buffoni, di De Falco e di Ascagni, non a caso ospiti quasi fissi del locale in quegli anni quasi spensierati, ed era tutt’altro che raro vederlo alla domenica nello stadio di allora, il “Grezar”.

“Da Mario”, altra singolarità, si entrava dopo aver sceso un paio di gradini, perché le sue stanze si sviluppavano sotto il livello stradale. Una delle grandi abilità del ristoratore era indubbiamente anche quella di sapersi scegliere lo staff: un gruppo di ragazzi e ragazze (dell’epoca, si capisce), bravi, simpatici e soprattutto abilissimi nel loro lavoro. Delle vere macchine da guerre, e non a caso molti di loro, una volta chiusa l’esperienza, sono rimasti nel settore.

Con il cliente, anche sconosciuto, Mario aveva la rara capacità di saper discutere, di tirar fuori la battuta giusta al momento giusto, con la sua irresistibile parlantina che, anche dopo decine di anni, non aveva perso un evidente accento istriano. In un’epoca non ancora inflazionata di locali come adesso, Mario, assieme al quasi attiguo “Da Giovanni” di via San Lazzaro, rappresentava la triestinità a tutto tondo, la tipicità in cucina, anche quel “morbin” che è tipico dei residenti e contagia immadiatamente chi viene “da fuori”. Questo ne aveva fatto anche un “must” per i molti rappresentanti di commercio che gravitavano nella zona e ai quali non pareva vero, per un prezzo sostanzialmente modesto, di poter fare una “full immersion” nelle tradizioni locali, battute al banco comprese, anche solo godendosi qualche fetta di “cotto in crosta” (uno dei piatti che suggestionano di più i “foresti”) o degustandosi uno spritz (che non aveva e non ha niente a che fare con l’attuale cocktail modaiolo).

Nel 2000, a dodici anni dall’inizio della fortunata avventura, la sua decisione di dire basta prese in contropiede la sua sempre folta clientela, ma era tempo di pensione e Mario preferì ritirarsi. Si poteva vederlo, negli ultimi anni, su un altro campo di calcio, quello del San Luigi, rione dove viveva, a dare una mano alla società. Ironico e pimpante fino all’ultimo.

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