Trieste, accelera la trattativa fra governi per il ritorno del Narodni Dom alla comunità slovena

Il governo gialloverde mette da parte 14 milioni per il trasloco della Scuola interpreti in un altro palazzo
Lasorte Trieste 03/07/18 - Via Filzi, Università, Scuola Interpreti e Traduttori, Narodni Dom
Lasorte Trieste 03/07/18 - Via Filzi, Università, Scuola Interpreti e Traduttori, Narodni Dom

TRIESTE La restituzione del Narodni Dom alla comunità slovena si avvicina. La trattativa fra i governi di Roma e Lubiana ha avuto un’accelerazione negli ultimi mesi e tutto fa pensare che, tra un anno, il centesimo anniversario dell’incendio di quella che oggi è la sede della Scuola per interpreti di Trieste sarà occasione per annunciare un passaggio di proprietà che poi richiederà ancora qualche anno per realizzarsi sul piano pratico.

«È la legge che ci chiede di restituire il Narodni Dom – dice il rettore dell’Università Maurizio Fermeglia – ma a gran voce ce lo chiede la storia. L’università porta sempre un messaggio di pace e unione: oggi (ieri, ndr) abbiamo tagliato il nastro per il passaggio di due stanze della Scuola alla comunità slovena, ma per andare fino in fondo serve un intervento superiore».

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Fermeglia di più non dice ma sa certamente che il confronto è a uno stadio avanzato, essendo stato coinvolto in tutti i passaggi della trattativa fra ministeri degli Esteri. Dalle notizie che filtrano in corrispondenza della visita del presidente sloveno Borut Pahor, il governo gialloverde avrebbe messo a disposizione fino a 14 milioni per ripristinare l’edificio di via dell’Università 7, in disuso e indicato dall’ateneo quale nuova casa della Scuola per interpreti, che nei prossimi anni lascerà via Filzi.

Sul futuro del Narodni Dom si sa ancora poco, a cominciare da chi sarà l’intestatario del palazzo e che tipo di attività verrà ospitato nella grande struttura, che le associazioni slovene vorrebbero destinare al Centro musicale e alla Biblioteca nazionale, oltre a un centro che valorizzi plurilinguismo e multiculturalità, accogliendo anche realtà rappresentative degli altri gruppi nazionali centroeuropei storicamente presenti a Trieste e un secolo fa di casa negli spazi di via Filzi, dove dal 1904 erano collocati l’hotel Balkan, due ristoranti, un bar, un teatro, una scuola di musica, una palestra, una banca, una sala lettura, la redazione del quotidiano Edinost, uffici e appartamenti.

Dal 2001 la legge di tutela della minoranza prevede la restituzione dell’edificio alla comunità slovena, a parziale indennizzo di quanto subito durante la dittatura fascista. Il destino del palazzo di via Filzi è rimasto però in sospeso, pur davanti a ripetuti appelli dei vertici politici della vicina Repubblica. Cosa abbia spinto il governo a cambiare passo non è dato a sapere.

Le cose sembrano ad ogni modo essersi sbloccate ai tempi della candidatura di Milano a sede dell’Agenzia europea del farmaco. Si dice che, per convincere la Slovenia a sostenere l’Italia, l’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano avrebbe promesso la restituzione del Narodni Dom entro il 2020. Tutto accantonato dopo il fallimento della candidatura, ma l’impegno politico è rimasto: per evitare di vedere la Regione chiamata a versare i milioni necessari al trasloco, è possibile che Fedriga abbia sollecitato il governo amico a chiudere, tanto da averne parlato anche nei recenti incontri dedicati alla creazione delle pattuglie miste. Non soltanto questione di bilancio, ma anche volontà di imporre una svolta simbolica nel percorso di avvicinamento politico che la Lega triestina ha da tempo avviato nei confronti della minoranza slovena, con l’obiettivo di rompere la tradizionale collocazione a sinistra del gruppo linguistico.

Pahor ha reso noto di aver parlato ieri con il governatore del Fvg del futuro dell’edificio, auspicando di poterne annunciare il passaggio in occasione del centenario dell’incendio e dunque il 13 luglio 2020. Al momento gli interlocutori stanno valutando come gestire la questione sul piano pratico e cioè se sia prima necessaria una cessione della proprietà alla Regione, che nel 1976 ha rilevato lo stabile che dopo il rogo venne trasformato nell’hotel Regina nel 1927. Successivamente la Regione ha ceduto la struttura all’Università, con un dispositivo che impegna l’ateneo a non cambiare destinazione della sede.

L’impegno della giunta Fedriga è stato annunciato a marzo dall’assessore Pierpaolo Roberti in occasione del congresso dell’Unione culturale economica slovena, ma nel centrodestra già cominciano i mugugni. Dopo l’annuncio del rettore, il capogruppo di Fratelli d’Italia Claudio Giacomelli rileva che «la collaborazione tra Italia e Slovenia è centrale e auspicabile, ma è sbagliato mettere l’Italia in posizione subalterna, accettare acriticamente ricostruzioni storiche di parte, parlare di risarcimenti rispetto a cose già ampiamente risarcite. Che poi qualcosa da farsi perdonare nelle vicende del Novecento ce l’avrebbero pure i nostri vicini o no? Ma soprattutto, nel 2019, farebbe rabbia veder spendere decine di milioni italiani, di cui Trieste avrebbe enorme bisogno, per vicende di cento anni fa». —




 

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