Trieste, a processo i sei furbetti dell’Ortofrutticolo

Rito abbreviato per l’allora capo Sodani, Sain, Gesù e Magnani. Dibattimento ordinario dal 2018 per il vice Di Toro e Parenzan
Lasorte Trieste 19/08/15 - Mercato Ortofrutticolo, Foto Giugno 2015
Lasorte Trieste 19/08/15 - Mercato Ortofrutticolo, Foto Giugno 2015

I comunali dal cartellino facile, scoperti in un’inchiesta del 2013, andranno tutti dritti a processo. D’altronde la mole di “prove” in mano agli inquirenti, che intendono andare fino in fondo, è imponente: timbrature fasulle, uso privato dei mezzi pubblici, soldi indebitamente intascati, lavori di casa messi in conto all’ente. Per Maurizio Sodani, Claudio Di Toro, Linda Sain, Elio Gesù, Fulvio Parenzan e Giovanni Magnani, all’epoca dei fatti dipendenti del Mercato ortofrutticolo di Campo Marzio, si apre così un nuovo capitolo giudiziario: dopo lo scandalo e gli arresti di quattro anni fa, si torna in Tribunale. Ognuno con le proprie posizioni giudiziarie, definite ieri in udienza preliminare dal gup Luigi Dainotti, sulla base delle richieste di rinvio a giudizio avanzate dal pubblico ministero Massimo De Bortoli. Il cinquantaduenne Di Toro, che vanta un passato politico da consigliere comunale della Lega Nord a Muggia, va a giudizio il prossimo 9 gennaio con dibattimento ordinario. Lui come il sessantasettenne Parenzan. Entrambi non avevano chiesto riti alternativi. Diversamente dagli altri quattro imputati, che hanno optato per il rito abbreviato: i sessantaseienni Sodani e Sain, il cinquantacinquenne Gesù e il quarantaseienne Mangani. Il Comune di Trieste, dal canto suo, si è costituito parte civile.



Il caso, quando era scoppiato nel 2013, aveva scosso la città: tra le 4 e le 8 di una mattina di gennaio, i carabinieri avevano fatto irruzione nella struttura di Campo Marzio. In manette erano finiti Sodani, responsabile della struttura, il vice Di Toro e gli altri due dipendenti Sain e Gesù. Accusati di truffa aggravata ai danni della pubblica amministrazione. Gli investigatori avevano agito con mesi e mesi di appostamenti, pedinamenti, intercettazioni telefoniche e verifiche sulle registrazioni del sistema che conteggia presenze e orari di lavoro. Svariati i comportamenti illeciti contestati a tutti e sei gli imputati ed emersi via via nelle settimane successive al blitz dell’Arma. Si era saputo, ad esempio, che Sodani si recava sul luogo di lavoro dopo le sette di mattina, mentre la rimbratura del cartellino risultava effettuata tre ore prima dal collega Gesù. Un sistema ripetuto in più di un’occasione, anche se talvolta era un’altra dipendente, Sain, a timbrare il cartellino al posto del collega. Ma lo faceva pure Parenzan.

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17/05/2012 Roma, in corso alla Fiera di Roma il Forum della PA 2012. Nella foto lo stand dell' INPS Istituto Nazionale della Previdenza Sociale

Fatti comprovati dalle immagini delle telecamere e dalle intercettazioni telefoniche. «Oggi mi sono svegliato alle 6 e 10...», raccontava Sodani alla moglie. Quando invece i sistemi elettronici di segnatura dei turni dicevano che l’addetto aveva preso servizio alle 3 e 40. C’era qualcuno, insomma, che passava il badge al posto suo. In un’occasione (la notte tra il 27 e il 28 aprile 2012), inoltre, è stato accertato che Sain si trovava in un casinò vicino al confine: anziché recarsi sul posto di lavoro, la donna aveva incaricato al telefono il collega Gesù di aprire il Mercato usando il suo cartellino, in modo da risultare in servizio. Non solo. Durante l’estate 2011 per due intere settimane Parenzan era risultato regolarmente al lavoro, ma in realtà era in vacanza a Lussinpiccolo. A Di Toro, a sua volta, vengono contestate le uscite in bar senza timbrare. Oppure quelle a casa, usando però la Panda del Comune.

L’elenco degli episodi continua: ecco lo stesso ex consigliere leghista dedicarsi all’attività di “rilevatore statistico” per conto dell’Istat, quando invece risultava ammalato. Per di più riceveva l’indennità di infortunio Inail. Sodani, infine, avrebbe anche intascato circa 700 euro dagli operatori del Mercato. Erano i pagamenti per box, soste e ingressi. Ma nella struttura di Campo Marzio sparivano anche altri soldi dei pedaggi o degli incassi dei canoni di concessione dei magazzini. Qualcuno aveva anche pensato di comprarsi e farsi installare la porta blindata di casa con i soldi pubblici. Di questo, con la presunta complicità di Magnani, è accusato lo stesso Di Toro.
 

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