Tremila atleti in campo senza certificato medico

Insufficienti gli ambulatori convenzionati, i club si arrangiano. Bergagna: «Mettetevi in regola»
Tremila almeno. Tanti a Trieste, sarebbero gli atleti tesserati sprovvisti del regolare certificato medico di idoneità alla pratica sportiva agonistica ma già impegnati in campionati o gare ufficiali. Questa, infatti, è la stima dei responsabili triestini della Federazione medico sportiva italiana, con in testa il delegato provinciale Paolo Bergagna.


LE CIFRE
L’incertezza creatasi nei mesi scorsi attorno al caso del Centro di medicina dello sport e la nuova legge che sancisce l’incompatibilità fra il lavoro con il servizio sanitario nazionale e l’attività convenzionata per l’effettuazione delle visite medico-sportive specialistiche. Sono questi due elementi che non hanno contribuito a migliorare un quadro che, secondo Bergagna, «conta una necessità annuale di 12mila visite in provincia, stando ai nostri calcoli. La sensazione è però che più di 8-9mila non siano state fatte. Quest’anno, in seguito a quanto successo alla realtà ospitata allo stadio Rocco, meno atleti si sono sottoposti alle verifiche». «Le sole strutture convenzionate - continua Bergagna -, ad oggi, sono due: il Centro cardiovascolare dell’Azienda sanitaria, in via Farneto, e la casa di cura Salus. Ma ci sono altri specialisti autorizzati, che lavorano all’ambulatorio di Altura del sottoscritto, al poliambulatorio Zudecche del dottor Palombella, all’ambulatorio Eliakos con il dottor Benedetti, oltre agli stessi medici del centro del Rocco».


LA DIFFERENZA
Cosa cambia fra medici autorizzati e convenzionati con l’Ass e quelli solo autorizzati ma sprovvisti di convenzione? Il prezzo da pagare per la prestazione: nel primo caso, si sborsano 31 euro per le visite agli adulti e quelle ai minorenni sono gratuite; nel secondo, invece, il costo sale a 50 euro per i maggiorenni e a 45 per gli under 18. Ad accollarsi la differenza, saldando il ticket, è la Regione, che va a coprire la parte rimanente non pagata da società e atleti alle strutture convenzionate.


LA SITUAZIONE
«Alla fin fine - prosegue Bergagna, che peraltro, oltre ad essere ex medico sociale della Triestina calcio, è uno dei referenti sanitari delle squadre nazionali di calcio - la realtà è che qui non ci sono tanti specialisti. Dopo la laurea, per diventarlo, ci vogliono altri quattro anni di studi: per capirci, in Friuli Venezia Giulia, ne viene fuori uno all’anno. E non è detto che, poi, si fermi a lavorare in regione. La situazione d’urgenza è anche dettata da questa esiguità e dall’accumularsi delle necessità delle società fra agosto, settembre e ottobre quando scattano i primi campionati e quindi si presentano le richieste per le visite. Che, evidentemente, non sono programmabili tanto prima. Peraltro, nella quota di atleti agonisti non in possesso del regolare certificato, sappiamo di casi in cui la società ha effettuato le visite servendosi di medici non autorizzati e ambienti non abilitati. È bene che questi sodalizi sappiano - conclude Bergagna - che quelle idoneità non hanno alcuna validità. Lancio un appello alla regolarizzazione».


I RISCHI
«L’offerta a Trieste, in questo momento, non è adeguata alla domanda - gli fa eco il dottor Osvaldo Palombella, consigliere della Federazione medico sportiva -. Gli atleti sprovvisti del certificato corrono rischi solo sul piano della salute. Mentre, in caso di disgrazie fatali in campo, a rispondere sul piano penale è il presidente della relativa società. Inoltre, anche le assicurazioni, al momento di aprire una pratica per un infortunio grave, chiedono ormai copia del documento attestante l’idoneità agonistica. Altrimenti non garantiscono la copertura».


L’INCONTRO
Proprio mercoledì scorso, Bergagna e Palombella hanno incontrato l’assessore regionale allo sport Elio De Anna per provare a risolvere il problema della convenzione con l’Ass. «Facendo solo il medico dello sport non si vive - puntualizza Bergagna -, ecco perché alcuni di noi non sono più convenzionati e operano in regime libero professionale. Stiamo discutendo con la Regione per l’ottenimento del rimborso, le strade percorribili sono due attraverso un apposito decreto: o si restituisce la possibilità ai medici di poter lavorare contemporaneamente anche per il servizio sanitario nazionale, o si decide per la garanzia di rimborso alle società che si rivolgono ai medici autorizzati».

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