Trebiciano, un'altra bomba poteva esplodere durante i soccorsi

TRIESTE Non una ma due esplosioni a distanza di un quarto d’ora. E con il pericolo imminente di una terza ancora più potente. A oltre un mese dallo scoppio nella villa di Trebiciano in cui ha perso la vita il cinquantunenne Dario Terzoni mentre tentava di disinnescare una delle bombe della Prima guerra mondiale che collezionava, emergono altri inquietanti retroscena: nel garage in cui è avvenuta la tragedia c’era un terzo ordigno pronto a saltare in aria. Una granata di grosse dimensioni.
Se la sono trovata praticamente sotto i piedi i vigili del fuoco del comando di Trieste intervenuti per domare l’incendio causato dalla deflagrazione killer. Le fiamme e l’elevata temperatura raggiunta dentro al box potevano provocare un ulteriore botto probabilmente letale per la squadra di pompieri che stava cercando di spegnere il rogo e con conseguenze nel raggio circostante.
Tanto più che materiale bellico del genere può contenere aggressivi chimici. Vista l’entità del rischio il comando dei vigili del fuoco ha avviato un accertamento interno per verificare se le procedure messe in atto dagli uomini della squadra sono state attuate correttamente: in particolare la scelta di portare all’esterno dell’edificio l’ordigno inesploso. La decisione potrebbe aver effettivamente salvato la vita ai soccorritori evitando una vera e propria strage.
Ma c’è chi mette in dubbio l’operazione, definita comunque «imprudente» in un documento dei vertici del comando che in queste settimane sta circolando nella caserma di via D’Alviano. Un documento indirizzato agli uomini in servizio quella mattina nella villa di Trebiciano. In un primo momento, infatti, si pensava allo scoppio di una bombola di gas. Ma quando i pompieri hanno raggiunto l’abitazione, l’area era circondata da una fitta coltre di fumo che non permetteva di vedere alcunché. Per capire l’origine del rogo è stato necessario impiegare le termocamere. Solo così gli uomini si sono accorti del cadavere sventrato di Terzoni, riverso tra le macerie, e della presenza di un grosso ordigno sul pavimento.
Come confermato dagli artificieri, il pericolo che deflagrasse pure quello, distruggendo il resto dell’abitazione e uccidendo i pompieri, era concreto. Il trasporto della bomba in giardino, è stato dunque un gesto «imprudente», come formalmente si sospetta, o un atto di coraggio dei vigili del fuoco? Chi si è occupato materialmente di asportare la granata ha ricevuto un ordine? Ma chi era deputato a impartire ordini, aveva già chiaro cosa era successo in quella casa e che dentro c’era materiale bellico? Andrà appurato.
Quel che è certo, come si è scoperto subito dopo, è che la villa era una sorta di arsenale. Nei giorni successivi all’incidente i rilievi degli artificieri della polizia e del 3^ Reggimento Genio Guastatori di Udine avevano rinvenuto in quel garage svariati residuati bellici: tre granate, di cui due di artiglieria e una di medio calibro; una bomba a mano tedesca; una bomba di mortaio inglese e decine di munizioni di armi portatili di vario calibro.
Pezzi della Prima guerra mondiale. Gli stessi militari hanno avuto difficoltà nell’identificare con esattezza la tipologia di ordigno che ha ucciso Terzoni: le schegge rintracciate durante l’ispezione erano compatibili con una granata di medio calibro di circa 50 centimetri di altezza e 10 di diametro.
Roba in uso durante il primo conflitto mondiale, considerata ormai rara dagli esperti. Il cinquantunenne tentava di maneggiare la bomba forse per disinnescarla.
Il resto del materiale che la vittima custodiva in casa - dal tritolo all’oggettistica militare conservata in una sorta di museo “fai da te” - ha fatto ipotizzare che Terzoni fosse nel giro di un commercio illegale capace di fruttare denaro. Un interrogativo che gli inquirenti si sono posti fin immediatamente: come si spiega il villone di Trebiciano per una persona che di professione faceva il bidello?
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