Tre anni e sei mesi all’ex capo della Mobile di Trieste
TRIESTE Tre anni e 6 mesi per Mario Bo, ex capo della Squadre mobile di Trieste, attuale responsabile dell’Anticrimine di Gorizia; due anni per Alessandro Valerio, già ispettore della stessa Squadra mobile. E poi a entrambi 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Tutto questo per la firma falsa in calce all’altrettanto falsa relazione di servizio.
Si è concluso con questa sentenza - non certo leggera - il processo “a latere” a quello che aveva travolto il precedente capo della Squadra mobile triestina Carlo Lorito, poi assolto in Cassazione dalle accuse di corruzione e violazione del segreto investigativo e quindi riabilitato dal capo della polizia Alessandro Pansa. A pronunciare la sentenza, al termine di una mattinata densa di colpi di scena, il giudice Filippo Gulotta. Che per Bo ha accolto le richieste del pm Antonio Miggiani mentre per Valerio le ha consistentemente ridimensionate.
Al centro dell’inchiesta contro i due poliziotti, formalmente avviata nel dicembre del 2008 da un esposto presentato da Lorito (predecessore di Bo al vertice della mobile triestina), vi è un’annotazione di servizio sulla quale compare la firma del sostituto commissario Giacomo Bresa, ucciso il 26 luglio di quello stesso anno sul pianerottolo della sua abitazione da un fulminante attacco cardiaco. Quell’annotazione - che aveva contribuito alla condanna nel processo di primo grado di Lorito - era falsa, come hanno dichiarato i periti del Tribunale che nel corso dell’istruttoria dibattimentale ne hanno attribuito la “paternità” all’ispettore Valerio. In particolare il documento firmato falsamente col nome di Bresa riferiva ai magistrati riguardo l’esistenza di eventuali rapporti e collegamenti, anche “privati”, tra la Questura di Trieste e quella di Gorizia. Bresa era stato anche sospettato, assieme a un altro investigatore della Questura di Trieste, di aver fatto filtrare verso Gorizia notizie che coinvolgevano “confidenti” di Lorito, alcuni dei quali avrebbero spacciato droga. Ma nulla poi è mai emerso sull’esistenza di queste “soffiate”.
Veleni insomma in indagini viziate e marce sui quali nella scorsa udienza il giudice Gulotta aveva formalmente convocato come testimone il pm Lucia Baldovin, all’epoca titolare del fascicolo sul caso Lorito. E in questa ultima settimana su questa questione c’è stato un vero e proprio braccio di ferro tra lo stesso giudice Gulotta e il procuratore capo Carlo Mastelloni che ieri è stato presente in aula. Mastelloni, come capo della Procura, aveva formulato una richiesta di revoca dell’ordinanza in cui era stata citata da Gulotta come teste il pm Baldovin definendo incompatibile col suo ruolo la testimonianza in aula. Ma ieri, in apertura dell’udienza, il giudice Gulotta ha rigettato l’istanza del procuratore. «La testimonianza del pm Baldovin è ammissibile. Nulla vieta la sua audizione», ha detto. E qui - sul più bello - c’è stato il colpo di scena. Il giudice ha subito comunicato formalmente di aver riflettuto sulla necessità di procedere all’audizione del pm-testimone. Tutto questo, ha detto, dopo aver effettuato «un’approfondita lettura delle carte processuali e un’attività di interpretazione logica delle stesse». Risultato: la revoca immediata della testimonianza del pm Baldovin. Che, appunto, dopo l’approfondito esame delle carte processuali, non è più servita. In sintesi il giudice giudicando legittima la richiesta di audizione del pm Baldovin non ha accolto la richiesta del procuratore Mastelloni, ma spontaneamente ci ha ripensato e ha revocato la sua precedente decisione. Poi - dopo due ore di camera di consiglio - la sentenza. «È una sentenza che lascia molto perplessi perché agli atti vi erano numerosi elementi documentali e testimoniali da cui si poteva dedurre l’estraneità ai fatti contestati all’ispettore Valerio. Faremo appello», ha dichiarato l’avvocato Andrea Frassini, difensore di Alessandro Valerio. Dello stesso tenore la dichiarazione del difensore di Mario Bo, l’avvocato Eugenio Vassallo. In aula presenti come parti offese l’ex capo della Squadra mobile Carlo Lorito e il sostituto commissario Sergio Savarese. Con loro l’avvocato Giorgio Borean.
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