Tragedia al Coroneo: «Mio figlio morto in cella, voglio la verità»

Parla la madre di Nicola Buro: «L’ultima volta l’ho visto con un occhio nero. Mi disse che altri detenuti l’avevano picchiato»

TRIESTE «Voglio venga fatta chiarezza sulla morte di mio figlio e su cosa gli è successo in carcere nelle sue ultime settimane di vita». Patrizia è una madre affranta dal dolore. Lo scorso venerdì pomeriggio una telefonata l’ha avvertita che il suo Nicola non c’era più, che era morto da solo, in una cella. Ma lei, affiancata dalla sorella dello stesso Nicola, non si rassegna al fatto che quella morte venga archiviata come un decesso per arresto cardiaco, e pretende la verità. «La gente è stufa di queste “morti nel sonno”», dichiara Patrizia: «Voglio sapere che cosa gli ha provocato quell’arresto cardiaco e, nel caso si sia trattato di un abuso di farmaci o altro, come abbia potuto procurarseli. So per certo che, per terapia, gli veniva somministrato il metadone, non soffriva di altre gravi malattie».

Nicola Buro, 38 anni, residente a San Giacomo, era in carcere da pochi mesi. La madre spiega che «per lui erano stati disposti i domiciliari, ma mio figlio, per futili motivi, era uscito dall’abitazione e per questo è stata disposta la misura del carcere».

Della sua morte si sa poco. È emerso solo che lo scorso venerdì pomeriggio, in regime di celle aperte, il giovane era stato chiamato per un incontro già stabilito da giorni. Il suo cognome era riecheggiato più volte lungo i corridoi, ma Nicola non si era palesato alla porta che delimita la sua sezione. A quel punto è scattato il controllo degli agenti della penitenziaria. Poi la triste scoperta. Invano i sanitari hanno tentato di rianimarlo. Ma c’è un fatto inquietante che emerge dai racconti della madre e che impone maggiore chiarezza sulla detenzione in carcere di quell’uomo dalla vita spericolata, che lottava contro la sua tossicodipendenza e viveva spesso di espedienti. «Lo scorso 4 luglio sono andata a trovarlo in carcere – racconta ancora Patrizia – e lui si è presentato al colloquio con un occhio nero, gonfio. Ci aveva spalmato sopra della crema, ma si capiva dal travaso di sangue attorno all’occhio e dal colore della tumefazione che “l’incidente” gli era successo qualche giorno prima».

Nicola, alla madre, quel giorno aveva raccontato che era stato «picchiato con calci e pugni da più persone, mi sembra di aver capito da altri detenuti. Aveva avvisato anche il suo avvocato di questo episodio e so che il legale si sta già muovendo perché venga fatta chiarezza sulla fine di mio figlio».

Durante il periodo passato in carcere, Buro ha anche scritto delle lettere alla madre, «e in tutte mi ribadiva che aveva paura – riferisce la donna – perché c’era della gente cattiva attorno a lui». Circostanze, episodi che impongono alla madre di non mollare, e di pretendere trasparenza su quanto accaduto a Nicola. Il legale che ha difeso Buro nell’ultimo periodo, l’avvocato Leonardo Brizzi, per ora preferisce non rilasciare dichiarazioni, ma si riserva di farlo tra qualche giorno.—


 

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