«Tra i ghiacci ho portato il cartello di Muggia»

Daniele Karlicek, un veterano dell’Antartide, spiega dalla base alle latitudini estreme le sue ricerche di glaciologia
Di Giulia Basso

«Si chiama mal d'Antartide. Non è qualcosa che si può spiegare a parole, solamente chi c'è stato può capire cosa significa e quanto ti cattura. Uno può anche dire non ci torno più, ma quando gli viene offerta l'occasione di farlo… beh, l'accetta senza pensarci due volte».

Daniele Karlicek, ricercatore del dipartimento di Matematica e Geoscienze, spiega così le ragioni della sua lunga frequentazione con il continente più a sud del pianeta, che l'hanno spinto a tornarci per la quinta volta consecutiva dal 2010. Al momento si trova proprio lì, sul plateau antartico, a Dome C, base italo-francese della stazione Concordia, situata 1500 km all'interno del continente e a 3.230 metri di altitudine sul livello del mare. Karlicek non è l'unico ricercatore partito da Trieste per una missione a latitudini estreme: impegnata in un diverso progetto, a bordo della Nave Cargo-Oceanografica Italica, attualmente in navigazione sul mare di Ross, c'è un'altra ricercatrice del suo stesso Dipartimento, la sedimentologa Ester Colizza. Grazie a Ioanna Protopsalti, assegnista di ricerca del Dipartimento in servizio presso il Museo dell'Antartide, siamo riusciti a contattare entrambi. Parleremo del loro lavoro, ma anche del lungo viaggio che hanno intrapreso per raggiungere la meta e di come si vive a temperature polari.

Partiamo da Daniele Karlicek (Ester Colizza la prossima settimana), il primo a partire dall'Italia, lo scorso 29 dicembre. Nei piani del ricercatore muggesano, che al Laboratorio di Geochimica Isotopica dell’Università di Trieste si occupa da molti anni di ricerche paleoclimatiche, c'era un intero anno da trascorrere nella stazione italo-francese, ma, come ci racconterà, non sono soltanto gli uomini a soffrire in condizioni climatiche estreme.

Lei non è nuovo a spedizioni di questo tipo. Quanto tempo ha trascorso finora in Antartide?

«La prima volta in Antartide ho passato un anno intero a Dome C. Poi ho partecipato a due campagne oceanografiche nel mare di Ross, una sulla rompighiaccio coreana Araon e una sulla Motonave Italica, e con l'attuale fanno altre due campagne estive a Dome C. In tutto sono quasi 22 mesi totali. Nel frattempo ho fatto anche una campagna oceanografica in Artico su un vascello polacco, l'Oceania».

Come si è svolto il viaggio per raggiungere la base?

«Sono partito il 29 dicembre con un volo Venezia-Dubai-Melbourne, poi da Melbourne sono volato a Hobart, in Tasmania, dove ho trascorso il Capodanno. Da lì mi sono imbarcato sulla nave francese Astrolab per arrivare, dopo sei giorni di navigazione, presso la stazione francese di Dumont Durville in Terra D'Adelie in Antartide. Qui ho sostato alcuni giorni in attesa di condizioni meteo favorevoli, e dopo altre 5 ore di volo su un twin otter canadese sono arrivato a Dome C».

Su che tipo di progetti sta lavorando a Dome C?

«Il mio compito è di istruire la persona che seguirà il progetto di glaciologia Pre-Rec, che prevede una collaborazione fra il nostro Ateneo, l’Istituto di Fisica Applicata del Cnr di Firenze, che con Massimo Del Guasta coordina il progetto, il Centro Ricerche Casaccia dell’Enea di Roma e l’Università Ca’ Foscari. Qui facciamo osservazioni e caratterizzazioni cristallografiche dei vari tipi di precipitazioni e raccogliamo campioni da inviare nei nostri laboratori in Italia per analizzarne gli isotopi stabili e capire le interazioni con l'atmosfera. Avrei dovuto partecipare anche a un secondo progetto, di astronomia: avrei dovuto seguire per tutto l'inverno il telescopio del progetto Irait, con test di puntamento e tracking, osservazioni e acquisizioni sia nella parte ottica che nell'infrarosso. Purtroppo per ragioni tecniche (l'ambiente e le temperature estreme qui creano enormi problemi) si è deciso di rimpatriare alcune parti del telescopio per la riparazione e la taratura, quindi la mia missione invernale quest'anno è stata sospesa e rientrerò in Italia il prossimo mese».

Come si svolge la vita quotidiana a Dome C?

«È dettata da condizioni climatiche proibitive, con temperature che vanno dai -30°C d'estate ai -80°C d'inverno. Si vive in uno stato d'ipossia continuo, che porta ad avere sempre il fiatone. Si lavora dalle 8 alle 12 e dalle 13.30 alle 18.30, con due pause di mezz'ora per riprendere fiato e riscaldarsi. La sera ci si ritrova nella living room o in sala cinema. Qui c'è tutto quello che può essere considerato confort: una biblioteca, una palestra, un calcio balilla, un biliardo, il ping pong e una sauna. Quest'estate eravamo una settantina, ma durante l'inverno si rimane in 13 persone. Gli approvvigionamenti arrivano fin qui con le traverse, cioè convogli di trattori che trainano speciali slitte. Il viaggio dalla costa dura circa 10 giorni, sono 1500 km di distanza ad una velocità media di 10km/h».

C'è qualche usanza particolare per accogliere i nuovi arrivati in base?

«È consuetudine che chi arriva qui si costruisca un'insegna col nome del paese da cui proviene e la fissi sui pali che stanno all'ingresso del sito della base Concordia: il cartello che indica la distanza da Muggia (nella foto, ndr) l'ho fatto io nel 2010, durante il mio primo inverno lì».

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