Tra avanguardia e tentazioni nostalgiche, attenti a non prendere anche voi la “triestinite”

Quando ero ragazzo, molti credevano che fossi di Trieste. Mia moglie stessa, all’inizio, aveva immaginato che avessi quelle radici. Trieste, insomma, col suo fascino mi aveva adottato. In cosa consisteva il suo fascino? Non assomigliava a nessun’altra città e realtà italiana, per la verità storicamente non era stata nemmeno italiana, se non di lingua. Ma di lingue se ne parlavano davvero tante, a Trieste e nell’impero austro-ungarico, di cui era stata il porto strategico affacciato sull’Adriatico e sul Mediterraneo.
Trieste, ecco, era ed è una città aperta, per la sua posizione geo-politica e per la sua vocazione cosmopolita. Così aperta da essere una formidabile fonte di conflitti. Come si sa, i conflitti fanno star male e, insieme, possono far bene, determinano ricadute e sollecitano la ricerca di soluzioni più avanzate. Ancora adesso, quando tutto è cambiato, Trieste è una città d’avanguardia, ma con tentazioni nostalgiche. Orgogliosa del suo mito, vive una romantica tristezza, che spesso diventa angoscia, è intelligente e super-intelligente, con le complicazioni e i vizi dell’intelligenza.
La convivenza è difficile in questa frontiera dei popoli e dello spirito, dove tutto va ripensato e guadagnato. A Trieste nasce un portabandiera come Slataper, che si chiama romanamente Scipio, ma rivendica di avere tre anime, la slava la tedesca e l’italiana. Mentre Aron Hector Schmitz sceglie lo pseudonimo di Italo Svevo, che lascia prevedere un tiro della fune nelle due direzioni. Ancora Svevo nella Coscienza di Zeno rappresenta sul letto di morte il congedo del padre, in sostanza il suo testamento, che si manifesta come un definitivo ceffone al figlio. Saba da parte sua si avventura nella scorciatoia di semplificare l’ambivalenza della condizione triestina nelle figure dell’amante e della moglie.
Negli anni venti del Novecento si era diffusa una tendenza, che si chiamava triestinite, una sorta di malattia. Montale ne è stato uno splendido testimonial. A Trieste andava ad annusare le novità e i sospetti del genio. Se Bobi Bazlen gli suggeriva qualcosa, una rettifica stilistica di un verso oppure di scrivere una poesia sulle gambe di Dora Markus, lui gli dava retta. Bazlen aveva un tale potere di suggestione da creare una Casa Editrice come l’Adelphi, la gemma dell’editoria italiana. A Trieste sono passati, per transiti differenti, Montale, Joyce, Kafka e tanti altri. Tutti a respirare la nevrosi. Non è un caso che la psicoanalisi sia penetrata nella penisola da questa ascella, svecchiando la cultura classicista e fascista che dominava altrove. Edoardo Weiss, allievo di Sigmund Freud, è nato a Trieste e qui ha fondato una sua scuola e creato una generazione di allievi, prima di emigrare negli Stati Uniti. Svevo ha introdotto la psicoanalisi nel romanzo e Saba ha fatto altrettanto nella poesia, inaugurando il relativismo del Novecento e la modernità nella quale ci riconosciamo.
La comunità ebraica ha segnato come uno stigma il destino di Trieste, con una missione che ancora non è esaurita. Certo, Trieste ha avuto e ancora ha, nonostante difficoltà, una florida economia e una solida cultura industriale. Sede della Borsa, delle Assicurazioni Generali e di altre importanti Società per azioni. Svevo parla di Borsa quando i suoi colleghi scrittori ancora se lo sognano. Nel mondo delle Assicurazioni sono transitati molti degli intellettuali che hanno reso gloriosa questa frontiera. Il fatto è che le stagioni d’oro di una società possono durare a lungo, ma alla fine si estenuano e si esauriscono. Il pericolo, nella nuova situazione storica, è quello dell’epigonismo e degli epigoni. —
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