“Torri”, il compleanno regge alla crisi
Certo ci volle del fegato a tirare dritti con quel nome - “Torri” - fino al taglio del nastro celebrato a neanche un anno e mezzo dall’11 settembre. Gestori e soprattutto padroni delle Torri d’Europa (a cominciare dalle Cooperative operaie di Cooperative operaie di Trieste, Istria e Friuli, l’inquilino con la quota di condominio più grande, ovvero il primo e ancora unico ipermercato in città: in provincia ce ne sono due col Montedoro delle “altre” Coop Nordest) non si fecero evidentemente condizionare, neanche dalla pura scaramanzia. Il dado, allora, era già tratto. E oggi quel dado, pur in piena crisi e nella tenaglia della concorrenza friulana da una parte e slovena dall’altra, è una realtà consolidata. Un pezzo che fa parte di Trieste e che ha cambiato le abitudini di consumo, spesa e perfino di tempo libero di parecchie famiglie.
Prima del 2003 c’era sì il centro “Il Giulia”, che a sua volta aveva inciso sulla fisionomia di un altro rione, San Giovanni, all’altro capo della città. Ma il primo grande mega-centro triestino fu incarnato proprio dalle Torri d’Europa, che in questi giorni spengono undici candeline. Pare ieri. Ce lo ricorda una festa programmata chiaramente la domenica anche se il compleanno anagrafico cadeva mercoledì, il 19 febbraio. Non seguirà alcun festival di eventi come nel 2013, in occasione del decennale, e pure le pubbliche dichiarazioni non si accodano stavolta alla serie di numeri e tendenze srotolata dodici mesi fa nell’eccezionalità della ricorrenza tonda. Mettendo assieme queste e quelle pare di capire che le Torri rimangono comunque grossomodo sui livelli del 2013: oltre cento fori attivi sui tre piani commerciali, con un turn-over di chiusure e aperture talvolta rapido, per circa 600 posti di lavoro, e una media di 15mila visitatori al giorno, con punte di 30mila sotto le feste.
«È stato un anno difficile, certamente - ammette Stefano Minniti, il direttore della struttura, multiproprietà di un’omonima società consortile fatta prevalentemente dagli stessi inquilini e gestita dalla Cogest Retail - ma i dati dell’affluenza continuano a essere positivi. Questo resta anche un centro di quotidianità, oltre che di acquisti più impegnativi come possono essere gli elettrodomestici, ad esempio. La famiglia continua a essere il nostro primo target, pur nell’eterogeneità delle presenze. L’abbinamento della gita a Trieste e del passaggio alle Torri per qualche acquisto particolare ci consente quindi di mantenere alta l’affluenza da oltreconfine. C’era un po’ di preoccupazione per l’esaurimento del regime di “tax free” con la Croazia per il suo ingresso nell’Ue ma non ne abbiamo risentito».
La principale calamita resta l’ipermercato nonostante lo scontrino medio s’abbassi causa crisi e, sempre causa crisi, il compratore - a volte anche quello affezionato – stia sempre più in campana rispetto alle offerte speciali che vengono pubblicizzate altrove. Ma il punto vendita continua ad avere, spesso anche per qualità, alcuni punti di forza indubbi, a partire dalla differenziazione dell’offerta consentita anche dagli spazi e dal cosiddetto “fresco” di cui sono capofila pescheria, macelleria, salumi e formaggi. Spazi grandi ma non colossali, non tali da diventare un problema insostenibile di costi di gestione alla luce della crisi che morde: «Siamo stati i precursori del format da 4.500 metri quadrati, mentre altri andavano oltre. Una scelta che ci dà ragione oggi», precisa il direttore generale delle Coop operaie Pier Paolo Della Valle.
L’ipermercato, peraltro, non è che poi rompa più di tanto le uova nel paniere alla concorrenza della grande distribuzione. È un mondo più grande degli altri, ma non fagocitante. E un po’ va a incidere pure la posizione decentrata. «È vero che le Torri hanno segnato l’avvento del primo iper - spiega Fabio Bosco, titolare dell’omonima catena - ma per noi tale presenza è tutto sommato indifferente, il problema semmai è, più in generale, la crisi. D’altronde eravamo già abituati al supermercato più grande degli altri fin da inizio anni Ottanta, quando si affermò la Pam di Campi Elisi con tutti i suoi posti auto. Quella sì fu una rivoluzione. Era il momento in cui le famiglie, peraltro, compravano la carne oltreconfine e il vino in Friuli, per cui gli acquisti erano già differenziati».
E i negozianti di città? Come sopra. Le Torri non paiono il nemico numero uno. «Sono una realtà ormai consolidata sul territorio - rileva Franco Rigutti, il vice vicario di Antonio Paoletti in Confcommercio - e non ci hanno creato mai particolari problemi in termini di concorrenza. La verità è un’altra ed è che i piccoli già soffrono per conto loro e i grandi si fanno male a vicenda. La prospettiva dei “monomarca” non credo faccia piacere neanche alle Torri, forse non permette neanche al centro di Chiarbola di festeggiare serenamente i suoi primi 11 anni...».
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