Tornano alla luce a Castua i cadaveri di italiani uccisi dagli jugoslavi
ZAGABRIA A settant’anni di distanza dalla loro uccisione per mano dei partigiani jugoslavi, emergono a Castua (Kastav), nei pressi di Fiume, i corpi di alcuni connazionali fucilati senza processo e seppelliti a guerra finita. È questo l’epilogo di una lunghissima attività di ricerca lanciata nel 1992 dalla Società di Studi fiumani a Roma e di un altrettanto lungo lavoro di pressione sulle autorità italiane e croate, portato avanti dalla Federazione delle Associazioni degli esuli istriani fiumani e dalmati (FederEsuli).
Il Commissariato generale per le Onoranze ai Caduti del ministero italiano della Difesa (Onorcaduti) ha confermato qualche giorno fa la fine degli scavi in questa località situata a 12 chilometri dal capoluogo quarnerino. I corpi riesumati sono sette o otto - solo il processo di identificazione lo dirà con certezza - e tra di loro, stando alle ricostruzioni degli storici, si trovano quelli del senatore - e già sindaco e poi podestà di Fiume - Riccardo Gigante, del giornalista Nicola Marzucco e del vice brigadiere dei carabinieri Alberto Diana. Tutti uccisi il 4 maggio 1945, all’indomani della liberazione di Fiume dal nazifascismo. «Lo studio in zona era iniziato subito dopo la fine della Jugoslavia socialista. L’allora presidente della Società di Studi fiumani, Amleto Ballarini, si era recato a Castua già nel 1992», ricorda Marino Micich, Segretario generale della Società di studi fiumani. Da allora è però passato più di un quarto di secolo. Infatti, anche se l’intervento del parroco locale, don Franjo Jurčević, aveva già permesso di definire il luogo esatto della fossa comune, l’autorizzazione tardava ad arrivare.
Nel 1996 un accordo tra la Società di Studi fiumani e l’Istituto croato per la storia ha dato il via alla ricerca su “Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947)”, poi divenuta un libro di Ballarini, mentre continuava la pressione di FederEsuli sulle istituzioni. «Se siamo riusciti ad arrivare a questo risultato è grazie al lavoro che abbiamo svolto negli anni», assicura Antonio Ballarin, presidente di FederEsuli.
In effetti, per oltre vent’anni la Federazione che riunisce le associazioni di esuli istriani fiumani e dalmati ha insistito con il governo italiano nell’ambito del Tavolo di coordinamento per gli esuli affiché si facesse pressione su Zagabria. E solo di recente si è trovato in Croazia un esecutivo disponibile ad autorizzare gli scavi.
«Castua è solo il primo passo - prosegue Ballarin - il nostro obiettivo è che la memoria non vada perduta, per cui vogliamo che in ogni luogo dove si è verificato un eccidio, in ogni foiba, in ogni fossa comune, sia apposta una lapide o un cippo che ricordi cos’è successo». Dopo Castua, nelle intenzioni della FederEsuli, c’è dunque “una campagna di scavi” che sarà possibile soltanto se la collaborazione italo-croata continuerà su questo livello. «Su Castua i croati hanno mostrato un grande senso di civiltà», concede Antonio Ballarin. «Le autorità croate hanno dato una grande mano», conferma il console generale d’Italia a Fiume Paolo Palminteri.
Proprio nel Consolato sono custoditi oggi i resti dei connazionali uccisi, in attesa che l’anatomopatologo di Pola Valter Stemberga completi l’operazione di identificazione dei corpi. In realtà, i pochi effetti personali ritrovati (dei pettini, un orologio da taschino) e il fatto che i corpi siano stati sovrapposti l’uno all’altro non fanno ben sperare: anche se l’orologio rinvenuto (e quasi completamente ossidato) dovesse presentare un’incisione al suo interno, difficilmente si potrà attribuire un nome a ogni cadavere. Una volta completata questa fase, si procederà con una richiesta di rimpatrio. —
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