Torna l’incubo focolai, Italia meno gialla: le regioni più a rischio
ROMA I contagi ieri, giovedì 11 febbraio, sono saliti a quota 15.146, il livello più alto da due settimane a questa parte e l’Italia rischia di tingersi di nuovo d’arancione con una punta di rosso. E nel frattempo le varianti del Covid iniziano a far paura anche nelle scuole.Tant’è che il Monitoraggio a cura dell’Iss, in fase di limatura, potrebbe oggi collocare in area rosso lockdown l’Umbria e in arancio Abruzzo, Toscana, e qualche rischio lo corre anche la Lombardia.
Di fronte a una situazione che va peggiorando è stata la Conferenza delle regioni a sollecitare ieri la rapida approvazione di un decreto legge ponte che proroghi al 5 marzo il divieto di spostamento anche dalle regioni gialle, in scadenza lunedì. Così già oggi, al massimo domani, il governo uscente compirà il suo ultimo atto, mantenendo l’obbligo di non varcare i confini regionali. Che non vale per chi ha la seconda casa fuori regione. Casomai in una località sciistica, dove dal 15 febbraio possono riaprire gli impianti di risalita. Anche se in assenza di in nuovo Dpcm, che spetterà a Draghi varare, saranno le regioni a deliberare le norme per sciare.
Intanto, le mutazioni del Covid fanno breccia in asili e scuole elementari. A Bollate, alle porte di Milano, i primi casi di variante inglese si sono avuti a fine gennaio, prima all’asilo poi alle elementari. Che da ieri hanno chiuso i cancelli perché il focolaio iniziale è diventato un incendio, con 59 piccoli solo dell’asilo già risultati positivi alla variante.
Ma un’altra mutazione “pediatrica”, ancora più insidiosa, è stata scoperta a Trieste, dove l’Istituto scientifico di ricovero e cura “Burlo Garofolo”, ha individuato la mutazione “N439K”, finora riscontrata solo tra gli adulti statunitensi. Secondo i ricercatori non sarebbe pericolosa per i bambini quanto per gli adulti, perché non solo più contagiosa, ma anche resistente ad alcuni anticorpi monoclonali. L’avanzata delle varianti impone il colpo di acceleratore sulla campagna vaccinale. Ne hanno parlato ieri via skype il commissario Arcuri e quello europeo Thierry Breton, alla guida della task force sui vaccini.L’Europa sta trattando con le aziende per aumentare le forniture. Alla Commissione non è sfuggito che mentre si riducono le consegne, in Italia c’è chi propone alle regioni stock da decine di milioni di fiale spuntate non si sa da dove. Ma Breton è venuto a tastare il terreno per capire se sia possibile produrre in proprio i vaccini in mano solo a tre multinazionali. «Per produrre quelli a Rna messaggero di Pfizer e Moderna serve almeno un anno, perché si tratta di creare nuovi impianti dotati di sofisticati bio-reattori» ha spiegato Arcuri al commissario Ue. Per quelli a vettore virale potrebbero bastare sei mesi.
La ricognizione di quali aziende potrebbero accendere i motori in Italia è stata fatta già. Si tratta di sei multinazionali che hanno siti produttivi di vaccini in Italia: Glaxo, Mylan, Sanofi, Seqirus, Merck Sharp & Dohme e Jansens. Tutta l’operazione richiederebbe tempi ancora più lunghi se i proprietari del brevetto non dovessero acconsentire a trasferire il know how tecnologico. Ma l’esempio della Francia che ha imposto un accordo in questo senso a Sanofi e Pfizer dimostra che l’Europa può usare armi molto persuasive con big pharma, se vuole. Nel frattempo i numeri dell’effetto vaccino sui nostri sanitari sembrano dire che non solo Moderna, ma anche Pfizer funziona come barriera ai contagi oltre che alla malattia. Dalla struttura commissariale informano che a oggi il 50% dei sanitari ha ricevuto il richiamo, l’80% la prima dose. A fronte di una copertura ancora parziale i contagi sono scesi del 64,2%, passando dai 4.382 casi della settimana dal 13 al 19 gennaio ai 1.570 di quella dal 3 al 9 febbraio. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo