Tolte le ovaie sane: medici a processo

Due chirurghi del Burlo asportarono gli organi a una donna operata per un cancro all’utero. La difesa: scelta precauzionale
Di Giovanni Tomasin
Paolo Giovannini, Trieste 13/12/2008, Burlo.
Paolo Giovannini, Trieste 13/12/2008, Burlo.

Due medici del Burlo Garofolo, Ezio Baraggini e Adriano Purini, sono finiti davanti al giudice in un processo penale. All’origine della vicenda un fatto del 2010: una donna, operata per un cancro all’utero, aveva firmato un consenso informato in cui chiedeva non le venissero asportate le ovaie a meno che non fossero intaccate dalla malattia. Al risveglio, però, aveva scoperto che gli organi le erano stati tolti, anche se un esame successivo avrebbe dimostrato che non erano coinvolti nella patologia. Da qui la scelta di sporgere denuncia, che ha attivato le indagini del pubblico ministero Maddalena Chergia. Ieri la prima udienza dopo il rinvio a giudizio (prima del quale si era celebrato anche un incidente probatorio), durante la quale sono stati sentiti i testi dell’accusa.

L’avvocato difensore è Massimliano Marchetti, mentre il legale della donna, costituitasi parte civile, è Roberto Mazza. Il primo a parlare è stato il medico del Burlo Carlo Bouchè, che ha seguito la signora prima dell’operazione. «La donna si è rivolta a me a causa delle emorragie di cui soffriva al tempo. Gli esami hanno riscontrato un carcinoma all’endometrio». Si tratta di una patologia per la quale un tempo si usava di protocollo asportare sia l’utero che le ovaie. A partire dal 2006, però, la letteratura medica ha aperto alla possibilità di conservare le ovaie se non interessate dal tumore.

«Dopo aver consultato anche il Cro di Aviano - ha spiegato Bouchè - con la paziente abbiamo preso in considerazione la possibilità di operare senza asportare le ovaie, che sembravano non essere coinvolte». La donna ai tempi aveva poco più di quarant’anni, un’età precoce per quel genere di malattia, in cui la perdita delle ovaie comporta diversi problemi come scompensi ormonali, menopausa precoce e forti ripercussioni psicologiche.

Una specificazione è necessaria. In questi casi soltanto una volta iniziato l’intervento, ad addome aperto, si può valutare con certezza se le ovaie siano compromesse o meno. Oltre alla valutazione “visiva”, una biopsia può confermare o meno l’estensione del tumore agli organi. «Il dottor Baraggino ha insistito per operare lui la donna - ha spiegato Bouchè -. Io non ho assistito all’intervento, e quando sono arrivato le ovaie erano già state asportate». Secondo Bouchè «la paziente aveva espresso la volontà che venissero salvate. La descrizione dell’intervento non giustifica la privazione: i chirurghi hanno riscontrato un’apparente endometriosi, che è un’altra patologia, benigna». Il consenso informato della paziente, ha aggiunto, «chiedeva specificamente la conservazione degli annessi».

L’avvocato della difesa ha fatto notare che il Burlo non dispone delle attrezzature per un test apposito intra-operatorio, dovendo mandare in questi casi il campione a Cattinara.

Secondo teste era il dottor Uri Wiesenfeld, altro medico del Burlo Garofolo, che ha sostenuto il colloquio con la paziente prima dell’intervento e compilato il consenso informato: «La signora aveva richiesto di conservare le ovaie il più possibile se non interessate dal carcinoma», ha confermato Wiesenfeld. In risposta alle domande dei legali, il medico ha specificato che soltanto durante l’operazione si può constatare davvero se questi organi siano interessati oppure no. Su richiesta del pubblico ministero, ha anche confermato che in caso di successivo coinvolgimento delle ovaie queste si sarebbero potute asportare «in un secondo intervento».

Sono poi stati sentiti due medici esterni in qualità di esperti. Entrambi erano del parere che ci fosse la possibilità di mantenere le ovaie della paziente.

A margine dell’udienza, l’avvocato della difesa ha sintetizzato così la questione: «Un tempo il carcinoma dell’endometrio veniva curato asportando secondo protocollo sia l’utero che le ovaie. Ora è prevalso un approccio mirato, basato su costi e benefici: la cosiddetta cura “individualizzata”, che prevede l’eliminazione delle ovaie in caso di infiltrazione. In questo caso i medici hanno valutato fosse meglio per la sicurezza della paziente asportarle».

Contestualmente al processo è in corso anche una richiesta di risarcimento avviata dalla donna presso le assicuazioni che tutelano il Burlo Garofolo. Nel prossimo novembre una nuova udienza servirà a sentire le testimonianze dei testi portati dalla difesa. Tutti passaggi necessari affinché la giustizia stabilisca lo svolgimento dei fatti.

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