Testa: l’Italia resta il cuore di Telit

«L’avanzata degli stranieri? Senza capitali siamo terra di conquista. Con il Jobs Act pronti a fare nuove assunzioni»
Chicco Testa in un'immagine tratta da Internet
Chicco Testa in un'immagine tratta da Internet

TRIESTE. Secondo McKinsey, nel 2025 il mercato dell'Internet delle cose varrà circa 6.200 miliardi di dollari, grazie a un numero di dispositivi connessi che entro il 2020 dovrebbe salire a quota 20-30 miliardi. É questo il core business di Telit Communications, azienda triestino-londinese leader nella comunicazione machine-to-machine che ha chiuso il 2014 con una crescita dei ricavi a quota 294 milioni di dollari (+20,9%) e con l’utile cresciuto a 20,7 milioni di dollari (+33,5%). L'Ebidta della società, quotata all'Aim, il segmento del London Stock Exchange dedicato alle piccole-medie aziende in fase di sviluppo, è cresciuto del 29% raggiungendo i 34,7 milioni di dollari. Con una quota di mercato del 32% (i rivali sono gruppi come Wireless e Gemalto), il gruppo negli ultimi anni ha ampliato i propri sforzi nella gestione della connettività attraverso le cloud (nuvola) su Internet. Il presidente del gruppo, Chicco Testa, e l’amministratore delegato Oozi Cats, hanno presentato ieri i conti 2014 agli investitori della City nell’ambito di un road show che dall’Europa si sposterà negli Usa.

Presidente Chicco Testa, dove punta Telit nella sua strategia di acquisizioni?

«Telit è cresciuta molto in Europa, Usa, Israele, Corea. Siamo partiti anni fa come puri sviluppatori e fabbricanti di moduli e oggi siamo uno dei player mondiali nel nostro settore. Puntiamo su una nuova strategia industriale concentrata sulle applicazioni tecnologiche basate su moduli grandi come un francobollo che possono mettere in rete numerosi servizi connessi in settori come l'automotive, la trasmissione dati, la domotica, gli impianti di sicurezza, la telemedicina, i sistemi di controllo a distanza.Nel 2014 l'acquisizione del ramo d'azienda Atop di Nxp Semiconductors ha segnato una decisa espansione nel settore dei semiconduttori.

Intendete rafforzarvi in Italia?

L’Italia continua a essere il cuore della società soprattutto nella ricerca e sviluppo coordinata dal quartier generale di Trieste. La competitività del Paese è migliorata molto grazie al cambio euro-dollaro, favorevole alle nostre imprese. Con il varo del Jobs Act il nostro costo del lavoro è tornato a essere competitivo. Auspichiamo che il governo Renzi approvi in tempi rapidi il decreto che detassa le spese in ricerca e sviluppo. Dopo le recenti acquisizioni negli Usa abbiamo assunto 150 persone. Se ci saranno condizioni favorevoli siamo pronti a rafforzarci anche in Italia che diventa un mercato interessante per fare nuove assunzioni.

Su quali mercati vuole espandersi oggi Telit?

Manteniamo una presenza importante in Europa dalla quale oggi proviene il 40% dei nostri ricavi dopo gli Stati Uniti (46%). L’Asia attualmente rappresenta il 14%. Negli ultimi quattro anni abbiamo fatto sette acquisizioni per entrare in nuovi settori tecnologici. Se si presenterà qualche nuova occasione siamo pronti. Anche per il 2015 puntiamo a una crescita a doppia cifra. Siamo una piccola multinazionale tascabile in forte crescita.

Il passaggio della Pirelli a un gruppo cinese riapre la discussione sul futuro dell’industria italiana. Rischiamo di perdere le nostre grandi imprese?

Il tessuto industriale italiano si è indebolito molto in questi anni soprattutto dal punto di vista finanziario. Continuiamo a essere leader in alcuni settori tipicamente manifatturieri e nelle tecnologie avanzate ma non basta. Per reggere il ritmo della competizione mondiale bisogna continuare a investire e conquistare nuove nicchie di mercato. La storia industriale di Telit dimostra che questa è la scelta vincente. Le imprese che non hanno risorse per competere rischiano di soccombere.

Italia terra di conquista?

Destino inevitabile senza i grandi capitali che invece può mettere in campo la Cina. Abbiamo avuto l’eccezione di Marchionne che ha portato la Fiat alla fusione con Chrysler, ma nel complesso le imprese italiane sono carenti di risorse per fare shopping all’estero. Inoltre molti dei nostri gruppi industriali sono a controllo familiare e spesso la terza generazione non ha più voglia di rischiare e può avere la tentazione di vendere.

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