Terziario sicuro, ex mito a Trieste: 300 posti a rischio

I casi Ubis e Sasa diventano un segnale: anche il pilastro occupazionale di banche e assicurazioni inizia a traballare. Nova Ljubljanska, nubi sulla filiale
Lasorte Trieste 28/12/12 - Via Pellico, Presidio Lavoratori UBIS Unicredit
Lasorte Trieste 28/12/12 - Via Pellico, Presidio Lavoratori UBIS Unicredit

Sadici, i tempi moderni. Prendono a botte la gamba sana di un corpo malaticcio che, già di suo, fatica a tenersi diritto. I casi di Ubis e Sasa stanno i imponendo alla città un bagno di realtà: uno storico pilastro occupazionale di Trieste come il terziario (e in particolare quello “finanziario”, il compartone “qualificato” di banche e assicurazioni) traballa. I posti a rischio (e qui per rischio s’intende anzitutto un trasferimento di sede, piuttosto che un depotenziamento del contratto, prima ancora che un licenziamento) sono più o meno 300, indotto compreso.

I conti, suggeriti dal fronte sindacale, sono presto fatti. I bancari di Ubis che su input della casa madre Unicredit stanno per traslocare armi, bagagli e contratto nella newco, col 51% di capitale esterno, sono 87. A questi si aggiungeranno i 139 assicurativi della Sasa, i cui posti di lavoro - in difesa dei quali ci ha appena messo la faccia Roberto Cosolini - finiranno in vendita col matrimonio tra Unipol e FonSai, dato che il risiko, in scia ai dettami Antitrust, contempla la cessione di Milano Assicurazioni, che a sua volta controlla la Sasa, proprio dall’orbita FonSai. Siamo a 226 famiglie in ansia. Davanti a loro, si badi, non c’è la prospettiva di perdere automaticamente lavoro e reddito. Questa no. C’è però, e questo sì, un grande punto di domanda legato a eventuali trasferimenti di sede (benché, per quelli di Ubis, sventoli la clausola di garanzia dei dieci anni di “immobilità”) e a possibili depotenziamenti di contratto.

Ma - osserva soprattutto Gabriella Rusca, segretario provinciale Fiba-Cisl - il destino dell’incertezza a breve termine non si limita a quota 226. La crisi delle banche nella vicina Slovenia, che si sta traducendo tra le altre cose in una pseudo-nazionalizzazione della Nova Ljubljanska Banka, dovrebbe comportare anche la fine della filiale che lo stesso istituto sloveno ha a Opicina. «Ci risulta che la decisione sia stata presa, non ci sono stati comunicati i tempi», precisa la Rusca. È l’unica filiale italiana. Con personale italiano. Altre 23 teste. Fanno 249. «Poi dobbiamo tener conto dell’indotto delle cooperative di servizi, dalle pulizie alla logistica», aggiunge l’esponente della Cisl. E siamo a 300, suppergiù. Ma sarà poi, questo, un fenomeno del tutto nuovo? L’assessore al Lavoro della Provincia, Adele Pino, dice no. Si tratterebbe anzi- così lascia intuire - di una patologia che si manifesta ora con sintomi eclatanti, ma che già prima di questi ha prodotto le sue consistenti emorragie, allora però senza far rumore. La cartella clinica premonitrice, se vogliamo, viene dalle tabelle più recenti, in possesso della Provincia stessa, che riportano i saldi occupazionali del 2011. Ebbene, guardando la tabella riguardante i cosiddetti «sottosettori dei servizi», vien fuori che, già nel 2011, la voce «servizi finanziari, assicurativi e attività ausiliarie» era quella che pagava il secondo prezzo più alto, con 90 posti in meno, dopo il -220 della voce «amministrazione pubblica e difesa».

«A volte - così l’assessore Pino - ci lasciamo impressionare dalle notizie delle crisi aziendali, capaci di evocare grandi numeri in un colpo solo, dimenticando che ci sono pure le crisi silenziose, più distribuite, costituite solo in parte da licenziamenti veri e propri, e molto di più magari dal blocco del turn-over, col conseguente mancato ingresso di giovani al posto di quelli che vengono agevolati nell’uscita con accordi individuali». «Credito cooperativo del Carso a parte - chiude la segretaria Fisac-Cgil Elisabetta Faidutti - ci risulta che l’ultima assunzione bancaria a Trieste risalga almeno a un paio di anni fa».

@PierRaub

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