Terrorismo, reclutatori fra Balcani e Nordest
TRIESTE. Se è vero che due indizi fanno una prova, allora che il Nordest abbia un serio problema di sicurezza anti-terroristica va preso come fatto acclarato. Il classico detto utilizzato da Agatha Christie nei suoi gialli per mettere a posto i tasselli di un’inchiesta può trovare applicazione anche negli scenari che vogliono Friuli Venezia Giulia e Veneto tra i territori frequentati da aspiranti jihadisti o sedicenti tali.
Gli indizi ci sono, e abbondano. Tanto da far preoccupare anche la sempre prudente e misurata Debora Serracchiani: «Trieste è storicamente un punto di transito per persone e merci - dice la governatrice del Fvg commentando la notizia della foto scattata a non più di 300 metri dal palazzo della giunta regionale di piazza Unità da uno dei tre afghani arrestati a Bari -. Purtroppo lo è anche per gente pericolosa. Non dubitiamo che le nostre forze dell’ordine vigilino su una città che rappresenta un luogo sensibile. Credo però che le attuali circostanze richiedano un surplus di attenzione alle aree in cui gli scambi tra Oriente e Occidente sono più frequenti e intensi».
Il pensiero corre all’istante a Rok Žavbija, ventiseienne sloveno attualmente rinchiuso in carcere a Lubiana dopo essere stato arrestato - sabato scorso - dalla polizia d’oltreconfine su mandato e con la collaborazione delle autorità italiane con la pesante accusa di essere un reclutatore per conto dello Stato islamico. Žavbija non ha mai fatto mistero di essere un militante del Califfato: è stato in Siria, ha combattuto sotto le insegne nere degli oltranzisti islamici. Una volta tornato in patria ha mantenuto stretti contatti con Husein Bosni„, l’imam itinerante attivo nei suoi giri a caccia di proseliti per la Guerra Santa proprio nelle regioni del Nordest italiano. Grazie anche alla sua attività professionale, trasportatore di carne per kebab, Žavbija ha potuto viaggiare nell’area e sondare una miriade di potenziali simpatizzanti.
Il reticolo di conoscenze messo assieme dall’imam Bosnic e da Žavbija, individuato, svelato e sgominato dalla Procura antimafia di Venezia, è composito e articolato. Non ci si può dimenticare che le indagini trivenete sui fan di Al Baghdadi affondano le proprie radici fin nel 2013. Nel fascicolo ricorrono ripetutamente i nomi di luoghi a tutti noi familiari: Azzano Decimo, Udine, Pordenone, Nimis, Trieste, tanto per citarne al volo solo alcuni.
L’imam Bosnic è attualmente detenuto a Sarajevo. Ed ecco un altro indizio: nel cuore dei Balcani, ad appena qualche centinaio di chilometri dalla frontiera italiana, le agenzie internazionali dell’anti-terrorismo sono concordi nel collocare il serbatoio europeo della jihad. Tra le montagne bosniache sono stati individuati campi di addestramento per fanatici da inviare poi in Medio Oriente oppure verso le capitali europee. Dai Balcani sono passati alcuni dei terroristi protagonisti delle stragi a Parigi e a Bruxelles.
Tracce così eclatanti non possono certo sfuggire a un investigatore esperto come il capo della Procura di Trieste, Carlo Mastelloni, che nelle scorse settimane ha sottolineato in più occasioni «il problema abbastanza consistente di una minaccia terroristica che ci riguarda molto da vicino», mettendola in qualche misura in correlazione anche con i flussi migratori che fino a un paio di mesi fa portavano decine di migliaia di disperati alle porte dell’Europa attraverso la soglia balcanica: la possibilità di infitrazioni di elementi pericolosi mischiati a donne e bambini è stata denunciata e - in alcuni casi - ha anche trovato conferma. È pur vero che ora, dopo la costruzione in serie di barriere fisiche ai confini di Macedonia, Croazia, Slovenia, Ungheria e Austria, e dopo gli accordi dell’Unione europea con la Turchia, la fiumana di migranti che attraversava i Balcani da Sud a Nord, sgocciolando poi in Friuli Venezia Giulia attraverso il valico di Coccau, ha smesso di scorrere. Ma è evidente che nessuno può escludere che, nel frattempo, più di qualche attivita jihadista si sia potuto annidare tra le migliaia di profughi tuttora presenti sul territorio regionale.
Vogliamo citarne altri, di indizi? La casistica è più che ampia. Tre mesi fa circa era stato allontanato da Udine, con foglio di via decennale, un cittadino kosovaro di 31 anni, Mevait Kokora, residente in Italia dal 2001 con un regolare permesso di soggiorno: era stato espulso con un provvedimento emesso del ministero dell’Interno per motivi di ordine e sicurezza pubblica. Si trattava dunque di un immigrato almeno in teoria ormai integrato nella società civile friulana. Invece il giovane, come accertato dalla polizia, si stava preparando per compiere il gran balzo e arruolarsi come foreign fighter al servizio dell’Is in Siria.
Storie simili a quest’ultima punteggiano settimanalmente le pagine di cronaca e i siti dei giornali locali del Nordest. E invitano implicitamente a tenere alta la guardia: «È bene sospettare di tutti, finché non si riesce a dimostrare che sono innocenti». Chi l’ha detto? Agatha Cristhie...
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo