Terrorismo, nel 2001 una cellula salafita voleva far esplodere una discoteca di Lignano

La storia dell'infiltrato franco-tunisino e la bomba in disco: Aymen Tlili Ben Abdelaziz interrogato dai Ros: riscontri alle sue rivelazioni. L’attentato non fu mai attuato perchè gli ideatori furono arrestati a Marsiglia
La spiaggia di Lignano Sabbiadoro
La spiaggia di Lignano Sabbiadoro

LIGNANO. Aymen Tlili Ben Abdelaziz, è un cittadino franco-tunisino, quando viene arrestato, sette anni fa a Villabona, in Veneto, e ha 26 anni. Fino a quel momento per l’Italia si chiama Haroun Bourrich e lavora come cameriere al ristorante «Ai Tosi», a Venezia. In manette finisce perché trovato in auto con della droga. Si scopre, poi, che era al soldo dei servizi segreti francesi per i quali stava seguendo degli appartenenti a un gruppo terroristico di salafiti. Viene interrogato in diverse occasioni dai carabinieri del Ros.

E racconta nientemeno di un attentato da compiere in una discoteca a Lignano. I carabinieri trovano riscontri ai suoi racconti. Per i nostri investigatori è uno che fa l’informatore per i francesi, ma che «lavora» con la droga per sè. Lui stesso per accreditarsi, mostra che il passaporto che gli hanno fornito i servizi francesi è falso. Quindi fornisce numeri e nomi dei suoi referenti francesi. Tutto verificato dal Ros. Spiega che gli hanno trovato il lavoro come cameriere e un appartamento a Venezia e da qui doveva seguire il gruppo con una base a Milano e una a Udine.

Racconta che tutto ha inizio quando conosce alcuni degli aderenti al gruppo di salafiti jihadisti alla moschea di Udine. Tra questi anche il suo «tutor». Siamo alla fine del 2001 e viene a contatto con l’algerino Nouadria Sofiene che opera principalmente a Marsiglia. È lui il suo tutore. Il gruppo ha lo scopo di raccogliere armi e denaro da mandare in Algeria. Mentre è a Marsiglia e si sta informando su alcuni di loro, partecipa a un incontro dove uno dei capi del gruppo spiega che bisogna compiere un attentato in una discoteca di Lignano. Non dice quale. Spiega che doveva essere impiegato del tritolo contenuto in una bombola del gas e che l’innesco doveva avvenire grazie alla vibrazione di un cellulare. La spia francese è evidente che cerca di tirarsi fuori dai guai legati alla droga e forse racconta più di quanto sa. Di certo dice delle verità, se riconosce alcune foto segnaletiche di sospetti terroristi mostrate dai Ros.

Spiega che la droga era una delle fonti principali di denaro per sovvenzionare l’attività terroristica del gruppo che operava a Marsiglia. La cocaina che il gruppo spacciava proveniva dall’Olanda e arrivava a Marsiglia e poi a Milano e Venezia. La spia francese ha raccontato che due tunisini residenti al Lido smerciavano questa droga nella zona di ruga Giuffa. Anche loro versavano l’ottanta per cento del ricavato per la «causa» e si tenevano il resto. Un’altra fonte di sostegno dei terroristi erano le carte di credito clonate. La clonazione era opera di un algerino residente a Londra.

Il primo del gruppo con cui l’infiltrato francese viene a contatto quando risiede a Udine. Le armi destinate ai “fratelli” in Algeria provengono dalla Francia. Ma una partita di pistole, di cui si occupa lui, viene acquistata in via Anelli a Padova. I capi del gruppo vengono arrestati a Marsiglia. E finisce così, per fortuna nel nulla, anche la storia dell’attentato alla discoteca.

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