Tergestea, crac della casa di spedizioni
L’ultimo aneddoto è il più atroce. Quando qualche giorno fa i militari della Guardia di finanza si sono presentati per acquisire l’ultimo bilancio della società, è stato impossibile darglielo perchè la fornitura della corrente elettrica dopo bollette non pagate per decine di migliaia di euro è stata tagliata già a luglio. Si consuma così, tra la tragedia e la farsa, l’agonìa della Tergestea, storica casa di spedizioni un tempo leader nel Nord Adriatico. Una decina dei 26 dipendenti tra impiegati e operai ha già ceduto e si è licenziata, non poteva essere diversamente visto che l’ultimo stipendio riscosso per intero è stato quello del mese di maggio. Alcuni, pochi, si sarebbero già risistemati in ditte conccorenti portando con sè un piccolo personale portafoglio clienti.
Il proprietario della società, Guido Valenzin, esponente della terza generazione al vertice della società, ha rinviato di settimana in settimana spiegazioni al Piccolo e prima di darle ha disattivato il cellulare. La situazione la riferiscono alcuni dipendenti restando anonimi per timore di possibili ritorsioni che renderebbero ancora più difficile la loro attuale situazione di potenziali disoccupati: per la Tergestea sta per aprirsi il baratro del fallimento. L’istanza sarebbe già stata presentata da due ditte di autotrasporto, stanche di accumulare crediti, la Caau di Udine e la Fioravanti e un’udienza dinanzi al giudice fallimentare sarebbe già stata fissata per mercoledì. Si sarebbe giunti a questo punto dopo che per mesi un ex dipendente e negli ultimi tempi consulente della società, Giuseppe Correro, avrebbe a più riprese annunciato un personale ingresso nel capitale sociale con conseguente iniezione di liquidità, senza però che questa ipotesi si concretizzasse. Secondo i dipendenti, il “buco” sarebbe di 4 milioni di euro con 3,2 milioni di debiti pregressi e altri 800mila euro accumulati nel 2013. Ma per rilanciare Tergestea i milioni occorrenti sarebbero 9, la società infatti ha perso i clienti, gli uffici di via Canalpiccolo sono semiabbandonati e privi di energia elettrica, i conti correnti sono stati bloccati e anche la concessione dei magazzini in porto è stata disdetta e i proprietari della merce rimasta l’hanno trasferita. Già il 20 luglio la Tergestea con un’istanza trasmessa all’Autorità portuale aveva espresso la volontà di rinunciare agli oltre 4mila metri quadrati del magazzino 58 dove era insediata e ai 1.700 metri quadrati di banchina antistante chiedendo che venga autorizzato il subingresso della Romani.
Rischia di compiersi in breve dunque una parabola alla quale già l’incidente del febbraio scorso costato la vita al magazziniere Valerio Colarich aveva impresso una traiettoria in picchiata che aveva costretto lo stesso Valenzin a dare le dimissioni da presidente dell’Associazione spedizionieri al cui vertice è stato sostituito da Stefano Visintin. La Tergestea rischia di chiudere una storia iniziata nel 1939 con la fondazione da parte di Giulio Valenzin. Nel 1972 viene ultimata in porto la costruzione di un deposito per il caffé, primo investimento del genere effettuato da un privato all’interno del Punto franco. Vengono stipulati accordi di traffico con gli spedizionieri statali di Albania, Cecoslovacchia e Ungheria per il transito via Trieste e la società diviene corrispondente di numerosi spedizionieri tedeschi, austriaci ed olandesi. È il 1979 quando entra in azienda Guido Valenzin, nipote del fondatore.
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