Tempestività e precisione, così si “scortano” le navi
Una giornata a bordo di uno dei rimorchiatori della flotta Tripmare tra momenti di grande concentrazione, caffè preparati dal nostromo e scorci mozzafiato

TRIESTE Il nostromo toglie i cavi dalle bitte, il direttore di macchina avvia il motore e il comandante inizia a muovere il rimorchiatore. Con tre semplici manovre l’imbarcazione utilizzata per portare le grosse navi presenti in rada all’interno del porto è pronta. In pochi secondi si trova già ad una velocità fra gli otto e i nove nodi (tra i 15 e i 17 all’ora). Le due eliche che ruotano su se stesse a 360 gradi attraverso un sistema chiamato azimutale danno forza alla manovra e propulsione al mezzo in modo da renderlo più agile e al contempo più poderoso in fase di “tiro”, quando il rimorchiatore coadiuva la nave nel suo ancoraggio.
La tempestività
Salire su uno di questi muli da soma del mare, però, non è un’esperienza altrettanto semplice, com’è stato invece salpare dal Molo Terzo. Anzi. Innanzitutto perché le navi che gravitano sul porto hanno un orario d’arrivo piuttosto indicativo, che può variare di alcune ore, anche di mezza giornata. E poi perché a confermare la necessità o meno dell’utilizzo di un rimorchiatore sono i piloti, che la segnalano al massimo un’ora prima del necessario. «Ci sono delle tabelle del porto da rispettare – ci spiega Mauro Ferrante della Tripmare, società che ha in concessione la gestione del servizio di rimorchio per i prossimi 12 anni – e l’incertezza nel nostro settore la fa da padrona. Sappiamo solo genericamente quali sono le navi che dovremo andare a recuperare in rada, ma la conferma ci arriva solo poche decine di minuti prima dell’operazione». Motivo per il quale abbiamo dovuto effettuare ben sette tentativi prima di poter salpare con il Deneb per procedere alla manovra di aggancio e conduzione della nave dal golfo di Trieste alla banchina. Una serie di tentativi che però hanno valso l’attesa.
La flotta “potente”
Il Deneb fa parte di quattro rimorchiatori sempre operativi, due dei quali presenti in Porto Vecchio e altrettanti attorno al Molo Settimo, per essere più vicini alla Siot in caso di emergenza, in modo da operare come servizio antincendio. Con i suoi due motori a propulsione Voith Schneider da 1400kw ciascuno, pari a quasi 4000 cv di potenza totale, in meno di venti minuti siamo sotto la gigantesca chiglia della nave da recuperare. È la Rava, una super petroliera che il caso vuole sia la numero 20 mila che si appresta ad attraccare sui pontili Siot. Il nostromo Edoardo Iurincich esce dalla cabina climatizzata per scendere a recuperare la corda super resistente in polipropilene che viene calata dalla gigantesca prua della nave che ci sta dinnanzi. Ora capiamo cosa possono aver provato i lillipuziani trovandosi di fronte a Gulliver.
Le zone di parcheggio
Il porto, ormai ci è chiaro, è tutto un intersecarsi di Davide e Golia. Ciò che non ci è ancora chiaro è come vengono posizionate le navi in rada. Ci viene in soccorso il comandante del Deneb Giovanni Moro: «La rada è divisa in zone Alfa 1, 2, 3. Si tratta di una specie di parcheggio per le navi, deciso in accordo con la Capitaneria di Porto. Nella zona compresa tra Miramare e Grignano ci finiscono quelle portacontainer o contenenti merci varie. Nella zona prospicente punta Sottile, quasi a ridosso del Vallone di Capodistria, ci sono le navi della Siot. In ognuna di queste zone ce ne possono stare al massimo cinque e nel caso in cui una di queste zone fosse piena – ci fa capire il comandante – una nave può essere trasferita in un’altra non di sua competenza».
La vista dal mare
Dalla zona dove siamo si gode di una prospettiva particolare, baricentrica rispetto al golfo stesso. Nonostante l’afa estiva, infatti, si riesce a vedere benissimo il centro storico di Isola d’Istria con il suo campanile, gli edifici più alti di Grado in lontananza, mentre la stessa Monfalcone sembra già più a portata di mano. Il suono della tromba, spropositato, quasi apocalittico, ma in linea con le dimensioni della Rava, ci riporta al motivo per il quale ci troviamo su quel rimorchiatore. Il pilota è salito a bordo della super petroliera e tutto è pronto per il trasbordo verso il pontile della Siot.
Le operazioni
La manovra si fa con tre rimorchiatori, uno a prua (il nostro) e il secondo, il Centurion, a tirare da prora. Sui due fari che delimitano il vallone di Muggia il terzo rimorchiatore, l’Altair, ci attende per operare lateralmente. L’obiettivo di questi tre mezzi non è facile nemmeno a dirsi: far avvicinare una nave da 250 mila tonnellate a un bocchettone attraverso il quale poi far uscire il petrolio. «Non basta farla attraccare “circa” – osserva il direttore di macchina Martin Paschini – come può accadere per altre navi che devono solo appoggiarsi sulla banchina. Qui anche il centrimetro ha la sua importanza». Il canale di avvicinamento al pontile della Siot, posto nella parte più interna del Vallone, è profondo 18 metri, e sembra ancora più stretto di quanto già non lo sia. A destra si rasenta Porto San Rocco da dove escono diportisti ignari del pericolo derivante dall’incrociare una petroliera, a sinistra l’enorme macchia marrone scuro della ferriera. Con l’abbrivio preso la nave, una volta raggiunta l’ultima coppia di boe luminose, ha fermato i motori e gettato le ancore. I due rimorchiatori iniziano quindi l’operazione di timonaggio per fare in modo che la super nave giri su se stessa di 90 gradi. Nel frattempo il terzo rimorchiatore rimane in attesa e, una volta che la petroliera tocca il pontile, anch’esso entra in attività, lavorando di “pushing” ossia appoggiandosi sul fianco della stessa sotto l’aletta del ponte di comando. Con tutti e tre i rimorchiatori a pieno regime si sviluppa una forza pari a 11 mila cavalli che tirano e spingono. Un lavoro certosino di taglia e cuci che porta via almeno due ore, mentre gli ormeggiatori entrano in azione per agganciare definitivamente la nave al pontile. «Il tempo di manovra si amplifica molto con una nave che deve attraccare sul pontile della Siot», ci spiega ancora il direttore di macchina: «Se si trattasse di rimorchiare una nave in Molo Settimo o in Molo Sesto la manovra sarebbe molto più veloce». Non rimane che aspettare ascoltando le direttive che provengono via radio dal pilota a bordo della nave. Nel frattempo il nostromo ci prepara un graditissimo caffè. Il tempo è meraviglioso, gli occhi non sanno dove osservare, se verso Muggia, verso San Servolo o sull’enormità del porto che si staglia alla nostra sinistra. Ma quanto consuma un rimorchiatore? «Qualcosa come 150 chili di cherosene all’ora – dice il comandante – ma il serbatoio è capiente e una volta fatto il pieno di 30 mila litri il cherosene ci dura per almeno un mese e mezzo». E se non ci sono navi da condurre in porto? «Non capita così facilmente – ancora il comandante – ma se non c’è da uscire si fanno esercitazioni o si rimane sulla banchina a pulire la nave».
Il ritorno
Dopo più di due ore di tira e spingi quasi millimetrici da ambo i lati, il primo rimorchiatore, quello di poppa, può staccarsi e tornare a riva. Poco dopo tocca a noi mentre il terzo, il Centurion, deve ancora completare l’opera di spinta laterale. Una volta sganciata la corda che ci teneva uniti alla Rava, che impiegherà altre 36 ore per scaricare il greggio, possiamo tornare alla base in Porto Vecchio, non prima di aver fatto un “inchino” con il rimorchiatore alle Rive e a Sua Maestà piazza Unità.—
3 - segue
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