Telecamera sotto la scrivania: spiava l’intimo della collega
Non è un regista che ammira i film di Tinto Brass. È un impiegato voyeur della Tripmare. Si trova nella scomoda posizione di indagato per il reato di violenza privata. È accusato dal pm Federico Frezza di aver installato una telecamera occulta sotto la scrivania di una collega effettivamente molto carina. La telecamera era collegata al server e da questo al suo computer. Così che, sempre secondo l’accusa, durante l’attività di lavoro il regista guardone, cambiava videata e guardava, tra una e-mail o una fattura, le grazie nascoste della giovane avvenente collega.
La vicenda che porta la data del mese di maggio del 2010 avrebbe dovuto concludersi, secondo il pm, con un’archiviazione. Ma il giudice Laura Barresi ha accolto l’opposizione dell’avvocato Maria Genovese che assiste l’impiegata, attrice a sua insaputa, e ha emesso un’ ordinanza in cui, nel respingere la richiesta di archiviazione del pm Frezza, dispone la trasmissione degli atti per effettuare nuovi accertamenti investigativi.
Altri quattro mesi di indagini per capire non solo se l’ufficio della Tripmare era stato utilizzato effettivamente come un set cinematografico di un impiegato voyeur ma anche se, altri colleghi dell’uomo, hanno in qualche modo contribuito tecnicamente all’insallazione della telecamera sotto la scrivania e agli allacciamenti alla rete dei cavi.
Il giudice ha ritenuto incomprensibile poi l’argomentazione del difensore dell’indagato, l’avvocato Giorgio Borean, secondo la quale non poteva esserci alcun pregiudizio nei confronti dell’impiegata dal momento che durante l’orario di lavoro in ufficio indossava solo pantaloni. Affermazione questa ritenuta sempre dal giudice di nessun riscontro in quanto nel corso delle indagini non si è saputo quali capi di abbigliamento la giovane donna utilizzava. E comunque l’abbigliamento non cambia di certo il reato per il quale l’uomo è accusato: violenza privata. Che chiaramente precinde dal fatto che la donna indossava pantaloni o una gonna svolazzante.
La singolare vicenda era emersa nel mese di maggio del 2010. Era stata l’impiegata della Tripmare a sporgere querela nei confronti del collega ritenuto, accusato di essere un «guardone» via computer. In particolare i primi accertamenti avevano evidenziato che c’era una ripresa della durata di oltre tre ore. Un lungometraggio, forse un po’ monotono. Dal momento che l’inquadratura era sempre la stessa.
A indicare il presunto autore delle riprese era stata la stessa impiegata che aveva riferito di essersi accorta che la telecamera messa sotto l’accendeva e la spegneva dal computer il collega di lavoro. C’era stata anche una perquisizione disposta dal magistrato durante la quale erano stati recuperati altri files e alcuni dvd sullo stesso tema.
Ma ora è stato chiesto e disposto un supplemento di indagine. L’impiegata «attrice» sarà nuovamente interrogata. Ma anche alcuni colleghi dell’impiegato regista che, secondo il pm, lo avevano aiutato nel montaggio dell’impianto. Disposto infine l’interrogatorio dei responsabili della Tripmare.
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