Tatuaggio, marchio di moda dilagante per sentirsi unici

I professionisti: «Il segno indelebile non è pratica rischiosa Severi controlli dell’Azienda sanitaria e del Comune»
Foto BRUNI TRieste 07.09.2011 Leo Tatuaggi-via Ginnastica
Foto BRUNI TRieste 07.09.2011 Leo Tatuaggi-via Ginnastica

di Vanessa Maggi

Una generazione, quella di oggi, che arriverà all’età della pensione con la pelle disegnata e colorata: raffigurazioni surreali, etniche o tribali, fiori, farfalle e delfini e ancora scritte orientali, nomi, ritratti, frasi e simboli collocati in ogni parte del corpo. È la generazione-tatuaggio, sospesa tra l’omologazione e l’individualismo, tra la suggestione modaiola creata dai media e l’eterna ricerca d’unicità e che, a 60 anni, si distinguerà dai nonni di oggi proprio per il “segno” portato da ciascuno sulla pelle.

Vera e propria espressione artistica messa a punto sul corpo che per l’occasione si fa tela, il tatuaggio vive una fase crescente di diffusione tra giovani e meno giovani, uomini e donne. «È come avere un marchio di fabbrica: se ho il “tattoo” sono accettato. E, paradossalmente, dopo che per anni gli uomini “timbrati” erano comunemente considerati dei reietti, è stata la stessa società giudicatrice ad aver dato valenza positiva al tatuaggio, ad averlo reso appetibile e di tendenza, sbattendo in televisione e su tutti i giornali calciatori, modelle e personaggi dello spettacolo tatuati dalla testa ai piedi». Rudy Fritsch, tatuatore triestino tra i più conosciuti in Italia e all’estero, osserva con lucidità la pagina odierna di un fenomeno «che esiste da sempre e sempre esisterà», di quella che lui definisce «un’onda perpetua» che ora, forse per la prima volta, è stata assimilata nell’immaginario collettivo in virtù della facilità con la quale i tatuaggi “si mostrano” sui corpi dei beniamini sportivi o cinematografici.

Il tatuaggio è espressione di qualcosa di tanto importante da richiedere un segno indelebile, si fa per appartenere a un gruppo o per non assomigliare a nessuno, per rafforzare la propria personalità o come semplice elemento decorativo. A tutto ciò si aggiunge oggi una motivazione che di identitario non ha proprio nulla: il tatuaggio come imitazione idolatrica del tronista o della star di turno. Un tempo segno distintivo di marinai, galeotti e malavitosi, oggi marchiarsi la pelle è con tutta evidenza un’abitudine che coinvolge tutte le classi sociali: oramai a risultare “emarginato” è il giovane privo di immagini impresse sulla pelle.

C’è da dire che insieme con il significato del tatuaggio si sono modificate anche le sue tecniche e attrezzature: si utilizzano nuove macchinette e tinture non aggressive, aghi e accessori sono sempre sterilizzati e monouso, gli ambienti sono strutturati nel rispetto di norme igieniche assai severe e le procedure di lavoro sono altamente professionali.

Il tatuaggio era considerato retaggio di ribelli, filibustieri e fuorilegge anche per via degli standard operativi che incoraggiavano giudizi negativi e timori legati al rischio dell’emergere di allergie, infezioni o malattie trasmissibili durante l’introduzione dei pigmenti nella cute. «Oggi la professione è sottoposta a una regolamentazione precisa e risulta abilitata solo dopo aver superato le sessioni di controllo di Azienda sanitaria e Comune – spiega Stefano Dandolo dello studio “Tribe and Crew” di via D’Azeglio -. Nessuno è tatuatore improvvisato, il nostro lavoro è interamente certificato, a tutela della salute del cliente e a garanzia della buona riuscita del tatuaggio».

Leonardo, veterano del mestiere di stanza in via Ginnastica, sottolinea la grande serietà e competenza dei tatuatori “di strada” (proprietari di un negozio) triestini, tutti accomunati da profonda passione e anni di esperienza nelle maggiori città mondiali. «Non si abbia timore della pratica del tatuaggio – commenta -, si diffidi invece di chi svolge l’attività in casa. Lì sta il vero pericolo».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo