Tassista ucciso, il superteste inchioda Fiore
Quando, in estate, gli investigatori gli si erano fatti sotto la prima volta, nulla aveva detto di sapere sull’assassinio di Bruno Giraldi, confermando allora undici anni di un silenzio che solo ad ottobre, poi, avrebbe rotto, giustificandolo con la «paura» di parlare. Una paura che, evidentemente, ieri mattina il 31enne Alfonso Forgione, il presunto supertestimone dell’omicidio del tassista, ha saputo tenere sotto controllo nella circostanza più “complicata”, a livello puramente psicologico. In occasione dell’interrogatorio valido come incidente probatorio davanti al giudice per le indagini preliminari Luigi Dainotti, infatti, Forgione ha sostanzialmente confermato le accuse formulate proprio ad ottobre a carico dell’ex amico Antonio Fiore - il 41enne già finito in galera (e poi scarcerato) per effetto di quelle accuse - mentre ce l’aveva fisicamente davanti, dentro un’aula di Tribunale.
«Il pomeriggio del 23 novembre 2003 Fiore è tornato a casa mia, dopo averla parcheggiata mi ha lanciato dalla strada le chiavi dell’auto che gli avevo prestato di notte e mi ha detto “accendi il televisore e vedi cosa ho combinato”, poi se n’è andato a piedi», è il passaggio-chiave, che ricalca l’ultima versione già fornita agli inquirenti, della testimonianza resa ieri da Forgione davanti al giudice Dainotti e allo stesso Fiore, alla presenza del difensore di quest’ultimo, l’avvocato Giovanna Augusta de’ Manzano, e dei pm Federico Frezza e Lucia Baldovin, i due magistrati della Procura che hanno riaperto il caso Giraldi in seguito al ritrovamento, nei mesi scorsi, a casa di uno spacciatore, di una Beretta 7.65 il cui possesso, undici anni fa, viene attribuito dalle indagini proprio a Fiore.
Forgione racconta del «pomeriggio del 23 novembre 2003». E alla notte precedente risale la morte di Giraldi. Il supertestimone riferisce poi di un incontro casuale, un paio di mesi dopo, tra lui e Fiore. «Ho ammazzato io quel tassista», così ha ribadito ieri Forgione di aver sentito uscire dalla bocca dello stesso Fiore durante quell’incontro. L’incidente probatorio - nel corso del quale Forgione ha anche ammesso di essere un bevitore e d’aver fatto uso di droghe all’epoca dell’omicidio Giraldi - è durato un’ora. Il supertestimone è stato il primo a lasciare l’aula delle udienze preliminari a porte chiuse. Ad aspettarlo fuori un paio di agenti in borghese che l’avevano accompagnato in Tribunale. Se n’è tornato a Napoli, dove vive attualmente. Dopo di lui sono usciti i pm e infine, un attimo prima del gip, Fiore insieme al suo legale. «Nel corso dell’esame di Forgione sono emerse palesi incongruenze che finiscono per risolversi in ulteriori elementi per la difesa», ha commentato l’avvocato de’ Manzano, che giusto un mese fa si era vista riconoscere la scarcerazione del proprio assistito dal Tribunale del riesame presieduto da Massimo Tomassini, giudici “a latere” Piero Leanza e Francesco Antoni, secondo cui le accuse rese ad ottobre da Forgione nei confronti di Fiore parevano «essenzialmente dipendere dagli indebiti suggerimenti rivoltigli durante l'interrogatorio».
A questo incidente probatorio, ora, ne seguirà un altro, riguardante tra le altre cose il confronto tra le tracce di Dna nel taxi di Giraldi e quelle su una giacca sequestrata a casa dei genitori di Fiore, che - sempre in base alle indagini di questi ultimi mesi - lo stesso Fiore avrebbe indossato la notte tra il 22 e il 23 novembre. E sempre ieri, intanto, a udienza conclusa, l’avvocato Sergio Mameli - storico difensore di Fabio Buosi, unico condannato in via definitiva per l’assassinio di Giraldi, oggi ai domiciliari, che nel 2015 finirà di scontare 18 anni con abbuoni di cui 16 per omicidio e due per calunnia contro un conoscente - è intervenuto sostenendo che il suo assistito «secondo me all’epoca è stato arrestato e poi condannato per molto meno rispetto a quanto adesso viene attribuito a Fiore. Buosi è stato obiettore di coscienza, non maneggiava pistole e non sapeva guidare. Lo stesso pg, in Cassazione, nel chiedere il rigetto del mio ricorso, ha ammesso che l’auto vista da un teste non era quella di Giraldi e che sul luogo del delitto, oltre a Buosi, doveva esserci almeno un’altra persona».
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