Tariq dal Marocco, Khalid e Leith dall’Iraq: l’orgoglio dei barbieri di via Fabio Severo

I tre lavorano in una bottega oggi esempio di riscatto e integrazione. Due di loro hanno attraversato la rotta balcanica 
Silvano Trieste 2019-09-09 Agadir Barbiere
Silvano Trieste 2019-09-09 Agadir Barbiere

LA STORIA Tariq è arrivato nel 2008 dal Marocco, Khalid e Leith invece nel 2017 dall’Iraq, attraverso la rotta balcanica, con un fardello pesante per la loro età, ma ora, assicurano, «non abbiamo più paura». Sono i tre barbieri che lavorano in una bottega di via Fabio Severo, a pochi passi dal Lidl. Le loro sono le storie di chi è venuto in Italia alla ricerca di un futuro migliore e, con fatica, è riuscito a creare qualcosa. Tariq, come detto, è il primo ad essere arrivato qui: è lui il proprietario del negozio, aperto a metà gennaio. «Sono partito dal Marocco nel 2008 – racconta mentre sta finendo la sfumatura a uno dei tanti clienti della giornata – e sono finito a Salerno, dove ho provato diversi lavori. Ho fatto il viaggio in aereo con un regolare visto grazie a un contratto stagionale. Nel 2015 sono arrivato a Trieste, prima però ho fatto tre anni a Parigi, dove ho ripreso a tagliare i capelli dato che in Marocco avevo seguito un corso». A breve nascerà anche il suo primo figlio: «Mia moglie è arrivata qua dopo la laurea in inglese. A Trieste abbiamo trovato un equilibrio e una stabilità».

Decisamente più complicato il viaggio di Khalid, che ha conosciuto Tariq nel 2017, quando lavoravano entrambi da un barbiere di via Giulia. «Sono arrivato a luglio – racconta – dopo un viaggio di sei mesi attraverso i Balcani. Sono stato in Ungheria per un mese e mezzo e non è stato per nulla facile visto che lì sono piuttosto razzisti». Appena varcato il confine Khalid è stato preso in carico dall’Ics: «Sapevo già tagliare i capelli, come mio fratello, che lavora però in Svezia. Ho fatto dei corsi di italiano e grazie all’Ics mi sono inserito. Ora che ho ottenuto il permesso di soggiorno ho potuto affittare una casa e adesso vivo da solo». Guai però a parlargli di moglie e figli: «Sono ancora giovane, ho 25 anni, ne parliamo tra dieci anni».

La sua famiglia è ancora in patria: «Mio padre fa l’allenatore di calcio, e ora vivono nel Kurdistan (una nazione nata dalla guerra civile irachena del 2014, ndr). Ho anche una sorella e un fratello più piccolo e anche loro vorrebbero venire qua, spero un giorni di poterli accontentare, però non vorrei facessero anche loro la rotta balcanica».

Anche Leith, detto Leo, un gigante di 27 anni è arrivato nel 2017, ma a dicembre. Anche lui è stato seguito dall’Ics e sta aspettando il permesso di soggiorno. Il suo viaggio è stato intervallato da un anno in Turchia. «Ho impiegato tre mesi nei Balcani, anch’io volevo venire in Italia, un paese che ho conosciuto con il calcio, tifo da sempre il Milan. La mia famiglia oggi è in Turchia, siamo turkmeni quindi alla fine siamo stati accolti bene. I miei genitori lavoravano per lo stato iracheno, ora sono in pensione».

Leo e Khalid vivevano a Baghdad e sono passati attraverso due guerre, oltre a quelle civili che caratterizzano il paese mediorientale. «Manca la sicurezza», spiegano: «Una volta, quando c’era Saddam Hussein, alla fine c’era di tutto. Avevamo le scuole, gli ospedali funzionavano, non si stava poi male e da piccoli potevamo anche andare in giro, senza però poter lasciare il paese. Dal 2005 è cambiato tutto: c’è la libertà, certo, però ci sono pure le bande e la guerra tra sciiti e sunniti, e non sai se tornerai a casa. Abbiamo i telefonini e tutto costa poco perché non ci sono tasse, questo però spiega il perché manchino i servizi».

«Nel 2014 – racconta Leo, ed è l’unico momento in cui il sorriso sparisce – ho perso due fratelli nella guerra civile». Essendo più grande di Khalid, lui ricorda anche i bombardamenti statunitensi: «Avevo 10 anni e abitavo a Baghdad, avevo paura perché sentivo le bombe che cadevano poco lontano».

Leo e Khalid, lungo la rotta balcanica, hanno conosciuto ovviamente dei compagni di viaggio: «Li sentiamo, sono in giro per l’Europa. Chi riesce a trovare un lavoro alla fine si adatta e si integra. Purtroppo chi non sa cosa fare rischia di finire in brutti giri. Questo però non capita solo agli stranieri, capita a tutti».

La sera dopo il lavoro - la bottega apre alle 8.30 e chiude alle 20 tutti i giorni - Tariq torna dalla moglie mentre Leo e Khalid vanno in giro con gli amici italiani e stranieri conosciuti in questi anni. Una vita lontana da bombe, bande armate e guerre civili. Alla ricerca di pace e normalità.—


 

Riproduzione riservata © Il Piccolo