Tamponi obbligatori ai parenti degli addetti delle case di riposo

TRIESTE Dal primo decesso in Friuli Venezia Giulia, a Casa Serena di Trieste, esattamente un mese fa, al focolaio di Paluzza. Un lungo elenco di contagi e di vittime con diagnosi Covid-19, con il triste primato alla Rovere Bianchi di Mortegliano, dove sono morte 17 persone. Le case di riposo, con operatori che arrivano quotidianamente dall’esterno per assistere anziani spesso con pluripatologie, sono le più esposte al rischio di contrarre l’infezione. Regione e sanitari non forniscono un dato preciso, ma la sensazione è che la maggior parte dei nuovi positivi giornalieri abbia proprio quell’origine e non sia invece il frutto di condotte sregolate adottate nelle ultime settimane.
«Gran parte della popolazione della regione rispetta le regole - afferma Fabio Barbone, epidemiologo e direttore scientifico del Burlo -. Questi aumenti sono legati ai focolai delle case di riposo, rsa e ospedali, cioè a quei luoghi dove il virus circola di più e c’è concentrazione di soggetti fragili. Se isoleremo questi focolai i nostri numeri miglioreranno ulteriormente, ma serve un lavoro capillare». Non a caso ieri Riccardo Riccardi, vicegovernatore e assessore alla Salute, ha messo in cantiere una doppia strategia: i tamponi ai parenti degli operatori e il trasferimento dei pazienti non contagiati in strutture “filtro”. Già individuati il Sanatorio Triestino, la Salus e l’Ospizio Marino di Grado.
L’ultimo, drammatico bollettino arriva da Paluzza. Nella Matteo Brunetti, Casa degli operai vecchi e inabili al lavoro – Covil, sinistra assonanza –, domenica si contavano 5 decessi e 83 positività tra ospiti (67) e operatori (16). Una situazione pesantissima che ha determinato la scelta di effettuare alcuni tamponi ai parenti di infermieri e fisioterapisti, operazione eseguita nell'abitacolo dell'auto, attraverso il finestrino, nel parcheggio di via Gortani a Tolmezzo. Una procedura di monitoraggio della rete dei possibili contagi conseguenti a contatti con il personale in servizio che non è escluso possa essere utilizzata anche a Trieste. «Faremo valutazioni caso per caso – precisa Riccardi –. Quello delle case di riposo è un fronte aperto, si tratta di verificare soprattutto l’origine del contagio. A Paluzza era esterna e abbiamo dunque deciso di intervenire con quella modalità».
Su Trieste la Regione ha fatto ieri un approfondimento in videoconferenza con l’assessore alla Protezione sociale Carlo Grilli e i suoi collaboratori. Il Comune ha evidenziato un quadro «complesso, ma sotto controllo» dopo una prima fase «critica» di diffusione dell’epidemia, mentre Riccardi ha evidenziato come la situazione più delicata è ora quella delle strutture private, di piccole dimensioni, in cui è difficile separare i sani dagli infetti. Di qui l’ipotesi di trasferire altrove gli ospiti sani delle case di riposo che non riescono a garantire spazi e percorsi di assistenza totalmente separati dai Covid-19. «È fondamentale tutelare ospiti e operatori – sottolinea il vicepresidente –, evitando che questi ultimi possano involontariamente divenire portatori di contagio in ambienti dove si trovano soggetti fragili. Stiamo quindi identificando realtà come il Sanatorio, la Salus e l'Ospizio Marino che potranno accogliere gli anziani che si trovano nelle strutture più critiche e quelli ricoverati in ospedale in attesa della dimissione».
Nelle case di riposo in cui siano invece garantiti isolamento tra pazienti sani e infetti e una chiara divisione del personale, prosegue Riccardi, «non intendiamo spostare gli ospiti, ma fornire loro terapie e supporto in loco». L’iniziativa della Regione viene approvata anche dall’opposizione dem. «Già da giorni abbiamo tra l’altro proposto piani di evacuazione e trasferimento in altre strutture – si legge in una nota firmata dai consiglieri Roberto Cosolini, Nicola Conficoni e Mariagrazia Santoro –. Ribadiamo il nostro spirito collaborativo, ma chiediamo una necessaria reciprocità, solo così usciremo dalla crisi».
Nota critica, invece, da Roberto Treu, dei pensionati Cgil: «Solo oggi l’assessore sembra accorgersi di quanto sia drammatica la situazione nelle case di riposo private. Un’ulteriore conferma del fatto che l’emergenza, nonostante i ripetuti allarmi lanciati a più livelli dal sindacato, è stata nettamente sottovalutata, anche riguardo alle dotazioni di dispositivi di protezione agli operatori». Di case di riposo come «anello debole nella lotta contro il coronavirus, sia in termini di personale che sotto il profilo delle condizioni di lavoro» parlano poi le segreterie regionali di Cgil-Cisl-Uil, con i responsabili sanità e welfare Rossana Giacaz, Luciano Bordin e Magda Gruarin.
Tra le soluzioni per far fronte all’emergenza anche un maggiore coordinamento tra servizio sanitario pubblico e sanità privata, «finora clamorosamente mancato, come dimostra il caso del Città di Udine, sconcertante ma probabilmente non isolato, con l’80% dei dipendenti alle soglie della cassa integrazione». Dal personale medico e infermieristico che fa capo alle strutture private, insistono Cgil, Cisl e Uil, «potrebbe arrivare un importante aiuto sia per gli ospedali che per il territorio». Anche su questo punto, come sul fronte della trasparenza sui contagi nelle case di riposo e nell’assistenza domiciliare, i sindacati confederali rivendicano «l’esigenza di un dialogo costante con l’assessorato e con le aziende sanitarie». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo