«Tagliati trenta posti di lavoro»: Cgil all’attacco dei vertici Diaco

Sotto accusa la scelta di spostare la produzione dal farmaceutico al cosmetico e il valzer dei manager
Lasorte Trieste 22/08/19 - Via Flavia, Stabilimento Diaco
Lasorte Trieste 22/08/19 - Via Flavia, Stabilimento Diaco

TRIESTE La Diaco si rifà il trucco. Di nascosto. Perlomeno Cgil Filctem, che nell’impresa biofarmaceutica di via Flavia fa il pieno con tre “rsu” su 3, ne è convinta. In maniera apertamente critica e polemica: dopo un periodo di osservazione, oggi Filctem si dice preoccupata per le prospettive aziendali, esige chiarezza sugli organici e sulle attività produttive. Lo fa con Sandra Modesti, che siede nella segreteria di categoria. Ancora qualche mese fa Diaco aveva un centinaio di addetti, la metà dei quali contrattualizzata a tempo determinato: oggi ne sarebbero rimasti non più di settanta.

Filctem è convinta del lifting perchè, pur senza premurarsi di far pervenire al sindacato un pezzetto di carta, in pochi mesi a cavallo di primavera-estate Diaco ha cambiato tutto: il cuore della produzione si sta spostando dal farmaceutico al cosmetico e una trentina di contratti a tempo determinato non sono stati rinnovati, perchè la mutata missione industriale ha indotto qualcuno ad andarsene con le proprie gambe, mentre altri non rientrano più nei programmi aziendali. Avviata inoltre - elenca la Modesti - una politica di affidamento di servizi all’esterno, che interessa la manutenzione e la gestione del magazzino.

Non solo, è saltato il vertice operativo: non c’è più l’amministratore delegato ucraino, Dimitry Arshynnikov, che aveva impostato la riapertura della fabbrica dopo il 2014 e che è stato sostituito da Alan Zettin. E anche il responsabile delle risorse umane, Simone Zaggia, non fa più parte della squadra.

Insomma, l’unica sigla attiva in azienda non sa con chi parlare e - soprattutto - di cosa parlare. Anzi - ricorda la Modesti - quando Diaco ha ritenuto di dover comunicare qualcosa al personale, lo ha fatto, in maniera assolutamente irrituale, avendo convocato un’assemblea “in diretta”, senza neppure avvisare Filctem Cgil.

Tutto - secondo la narrazione cigiellina - sembra accaduto all’improvviso. Perchè ancora in occasione dell’ultimo open day, Diaco confermava che il 70% della produzione avrebbe riguardato la farmaceutica e il 30% sarebbe stato dedicato alla cosmetica. In coerenza con il percorso tracciato dopo che nel 2014 la nuova proprietà ucraina, facente capo alla Yuria Pharm di Kiev controllata dai coniugi Nataliya e Dmytro Derkach, aveva rimesso in moto la fabbrica, reduce dal crac Cerani e dal successivo acquisto da parte di Sm Farmaceutici. L’investimento dichiarato oscillava tra i 7 e gli 8 milioni di euro.

Gli obiettivi di rilancio produttivo e commerciale, che erano stati enunciati dal manager Arshynnikov, battevano tre strade: la farmaceutica endovena e iniettabile, la cosmetica di alta gamma, i dispositivi medici. A regime Diaco, nata nel 1967 come Don Baxter, avrebbe assunto una novantina di addetti. Nella strategia iniziale lo stabilirsi di rapporti con l’Università e con le istituzioni scientifiche triestine. Tra l’altro, sia pure con una certa lentezza rispetto agli auspici, erano arrivate anche le autorizzazioni dell’Aifa (Agenzia italiana dei farmaci). Certo - dice la Modesti - era filtrata dall’interno qualche perplessità sulle modalità del revamping impiantistico e ben difficilmente un’azienda, che nel 2018 aveva fatturato 5 milioni, avrebbe potuto reggere una così cospicua struttura occupazionale. Ma niente lasciava prevedere - conclude l’esponente cigiellina - un così repentino mutamento strategico e manageriale. —


 

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