Svolta per il Revoltella Una donna dopo 145 anni alla guida del Curatorio
La forzista Manuela Declich eletta ai vertici dell’organismo «Orgogliosa di questa carica. E adesso via alla riforma»

Silvano Trieste 16/04/2016 Museo Revoltella, la nuova sala di arte contemporanea
Sul letto di morte il barone non ne aveva tenuto conto, delle pari opportunità. E così sono dovuti passare 145 anni per vedere una donna al vertice del Curatorio del Museo Revoltella. Manuela Declich, consigliera comunale di Forza Italia, è stata eletta unanimemente nei giorni scorsi presidente dell’organo di gestione e controllo del Museo istituito dal barone Pasquale Revoltella nell’ambito delle disposizioni testamentarie del 13 ottobre 1866, divenute esecutive dopo la sua morte, l’8 settembre 1869. Il Curatorio, che “sarà a nominarsi dal Consiglio della Città” (secondo le volontà baronali), è stato un circolo esclusivamente maschile per oltre un secolo. Le prima donne a fare capolino furono nel 1983 le professoresse Pia Frausin e Jasna Merkù.
«È una carica che ho accolto con particolare piacere. Mi riempie di orgoglio» assicura la neopresidente. Al suo fianco, come vicepresidente, è stato indicato Massimo Premuda. Il primo presidente, nell’anno 1872, è stato il cavalier Giovanni Battista Scrinzi di Montecroce, il secondo il barone Giuseppe Morpurgo. Sono poi succeduti Clemente Leonardelli, Felice Venezian, Aristede Costellos, Enrico Nordio, Eugenio Garzolini fino ad arrivare ai giorni nostri con Luciano Lago (tre mandati) e Sergio Pacor (due mandati). Dal Curatorio sono passati artisti come Carlo Marussig, Giovanni e Ruggero Berlam, Giuseppe Lorenzo Gatteri, Eugenio Scomparini, Piero Lucano, Edgardo Sambo, Marcello Mascherini, Carlo Sbisà, Luigi Spacal, Ugo Flumiani e Livio Rosignano.
Nell’ultimo curatorio si era quasi arrivati al rispetto delle quote rosa con cinque donne presenti su 10 componenti. Ma la presidenza era rimasta preclusa al gentil sesso. Ora è stato violato il tabù. Manuela Declich, che è attualmente presidente della Commissione cultura, era entrata nel Curatorio nel 2013 subentrando a Eleonora Violin dopo un testa a testa (tutto interno del centrodestra) con il presidente onorario della Corte dei conti Adriano Schreiber (sostenuto dalla Lista Dipiazza). Poi nel dicembre scorso aveva ottenuto il massimo dei voti (24) tra le sette nomine spettanti al Consiglio comunale. Nella seduta, avvenuta con calma sei mesi dopo l’insediamento del Consiglio comunale, furono eletti anche Alessandro Focardi, Martina Nessi, Luigi Pitacco, Jasna Merckù (un ritorno dagli anni ’80), Massimo Premuda e Giulio Bonivento. Nel corso dell’anno il Curatorio è stato integrato con le nomine designate da sindacati, Università e Consiglio provinciale scolastico: Cristina Benussi (al vertice da poco dell’Università popolare), il disegnatore Paolo Marani (già presente nell’ultimo Curatorio) e Donatella Bigotti (preside dell’Istituto nautico). È passato quasi un anno e mezzo prima di arrivare alla costituzione definitiva del nuovo Curatorio: la prima riunione, se tutto va bene, si terrà a dicembre.
Una lentezza che testimonia come si tratti di un nobile organismo decaduto al limite del “superfluo”. Da dieci anni, con le due presidenze di Pacor (ora al vertice del Politeama Rossetti), si parla di un’autoriforma e di un nuovo regolamento. Ma non si è fatto nulla. «In realtà Pacor non voleva la riforma», rivela Declich. Lei invece, prima presidente donna della storia, punta al rilancio del Curatorio. «Un Curatorio deve muoversi. E adattarsi ai nuovi tempi», aggiunge Declich. Con il collega di partito, Piero Camber, ha pure firmato una mozione per riportare alla luce a rotazione le opere che giacciono nei depositi del Revoltella. Un museo troppo statico, l’ha definito l’assessore alla Cultura Giorgio Rossi (che fa parte d’ufficio del Curatorio come la nuova direttrice dei Musei civici, Laura Carlini Fanfogna). Che non ha «dentro una Gioconda». In compenso possiede “Il Pastore” di Mario Sironi che la Fondazione Prada inserito in un catalogo di prossima pubblicazione. Un pastore che, nella determina comunale, si è tramutato in un “palombaro”, opera di Carlo Sbisà.
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