Sushi “in trasferta”? Sì in Friuli Venezia Giulia, ma solo in pochi casi

Artigiani in rivolta contro i paletti imposti alle zone arancioni. «Qui stretta più rigorosa che in Lombardia». La linea di Valenti

TRIESTE Dopo i commercianti, ora contro i paletti governativi fissati per le zone arancioni si mobilitano gli artigiani. Confartigianato regionale è andata in pressing sul commissario del governo, Valerio Valenti, denunciando in una lettera la stretta «eccessiva» applicata in Fvg. «In Lombardia, classificata zona rossa - si legge nello sfogo -, è permesso spostarsi fuori dal comune di residenza presso le attività non sospese dei servizi alla persona, lavanderie, riparatori di auto, somministrazione di alimenti per asporto». Ed è quello secondo parrucchieri, titolari di lavanderie e altri professionisti il principio da seguire anche nella nostra regione. Ma Valenti ribadisce che si possono oltrepassare i confini municipali solo per usufruire di servizi assenti, carenti o economicamente svantaggiosi nel comune di residenza. Il quale dev’essere in ogni caso territorialmente contiguo a quello in cui ci si reca.



Per Valenti simili spostamenti (in deroga all’articolo 2, comma 4, del Dpcm 3 novembre) sono giustificati solo in caso di «concreta mancanza, sostanziale limitatezza o dimostrata non convenienza economica del servizio nel proprio comune». Il servizio inoltre dev’essere indisponibile pure tramite acquisto web. E lo spostamento può avvenire «solo tra Comuni contigui». Prendiamo il caso del cibo da asporto. Chi sta a Monrupino (e non riceve il delivery oppure lo paga maggiorato) può andare a prendere il sushi a Trieste. Ma non a Monfalcone. «Comprendo lo spirito della richiesta degli artigiani – specifica Valenti – ma così dice la norma. Starà a chi la applica usare il buon senso. Ma se si inizia facendo un’eccezione, poi si apre un dibattito infinito. Bisogna guardare all’interesse generale del Paese, non solo a quello locale».



Il presidente regionale di Confartigianato, Graziano Tilatti, «prende atto» della risposta ma sottolinea che «lo spiraglio resta aperto: il prefetto ci ha assicurato di aver portato la questione al presidente del Consiglio». Per il suo omologo triestino, Enrico Eva, «ciò che vale per Roma o Torino non può valere allo stesso modo a Duino o San Dorligo». «Così perderemo metà del fatturato», protesta Loredana Ponta, capocategoria dei parrucchieri per Udine e Fvg: «I saloni, dove sono rispettati protocolli e norme igieniche, saranno vuoti, mentre per le case avremo chi taglia i capelli abusivamente». Ponta sottolinea che il comparto servizi alla persona è sul piede di guerra: in Fvg conta su 3.245 imprese artigiane e quasi 6.000 addetti; nelle province lavora per circa il 50% con clienti extra-comunali.



Salvatore Spitaleri (Pd), esponente della Commissione paritetica Stato-Regione, auspica «un punto di equilibrio tra il considerare di natura politica la valutazione sulle zone e l’interpretare le norme in forma più restrittiva di quanto siano». «Preghiamo il prefetto Valenti di rivedere la sua posizione», dichiarano i consiglieri regionali del M5s Ilaria Dal Zovo e Cristian Sergo: «In regioni attualmente in zona rossa è consentito lo spostamento tra Comuni per andare da parrucchieri, gommisti o carrozzieri di fiducia: nei paesini ciò significa permettere alle attività di lavorare». Sergo propone altresì di chiudere i grandi centri commerciali nei weekend.



Nel frattempo Anna Mareschi Danieli, presidente di Confindustria Udine, lancia un appello affinché i locali chiusi per Dpcm siano riconvertiti in mense aziendali temporanee, in modo da garantire un pasto caldo ai lavoratori dell’edilizia: «Si tratta di un loro diritto contrattuale – spiega Danieli –. E il Dpcm 3 novembre prevede l’uso delle mense appunto su base contrattuale. La richiesta di un’interpretazione estensiva è già stata condivisa con la Prefettura: a ridosso della stagione invernale, mi sembra l’unica soluzione per evitare la chiusura dei cantieri». Intanto i ristoratori triestini stanno preparando a loro volta una lettera indirizzata a governo, Regione, e Prefettura: la prima richiesta è quella di autorizzare la riapertura di chi rispetta le regole anti-contagio. —
 

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