Susanna Tamaro racconta la sua vita

Bompiani pubblica “Ogni angelo è tremendo”, sofferta autobiografia della scrittrice triestina autrice di “Va’ dove ti porta il cuore”

Si può entrare nella vita come camminando su una tela di ragno. Avanzare, passo dopo passo, governati dall’incertezza. Dalla spasmodica attesa che qualcuno, o qualcosa, sbuchi dal nulla per colpire. Per farci male. Se poi quel nemico vive dentro casa, ha la faccia, la voce, i vestiti di mamma o papà, allora l’infanzia, l’adolescenza diventano una lunga discesa nel maelstrom. Un viaggio nel vuoto affettivo, nel desiderio di non esistere.

Lì, sulla tela del ragno, Susanna Tamaro ha trascorso lunghi anni. I migliori anni della vita, come canta una famosa canzone. E solo adesso, dopo aver venduto milioni di copie con il romanzo “Va’ dove ti porta il cuore”, dopo il successo e le interviste, i film e gli articoli sui giornali, è riuscita a stanare dai suoi ricordi le ombre tenebrose dell’infanzia, dell’adolescenza. Per trasformarle in un libro doloroso, angosciante e bellissimo che nel titolo riprende i versi di Rainer Maria Rilke: “Ogni angelo è tremendo”. Esce domani pubblicato da Bompiani, che con la sua direttrice editoriale Elisabetta Sgarbi ha creduto fin dall’inizio in questa nuova opera della scrittrice triestina.

Non erano anni facili per Trieste, quelli. Uscita da una Seconda guerra mondiale terribile, che si era trascinata in città per quasi un altro decennio con il Governo militare alleato, dilaniata dal ricordo della Risiera e delle foibe, dell’occupazione titina e dell’esodo dei profughi istriani, conservava ancora su molti edifici le scritte “US”. Che stavano a indicare le uscite di sicurezza da imboccare durante i bombardamenti. Certo, fosse nata a Capri, come sognava sempre, forse Susanna Tamaro sarebbe cresciuta in una casa dove c’era spazio per la gioia, per quei gesti minimi che aiutano un bambino a sconfiggere le proprie paure. A tenere a distanza le ombre che popolano le lunghe notti al buio.

Forse era un principio darwiniano, quello della selezione naturale della specie, a cui si rifacevano i genitori di Susanna. O forse il loro matrimonio era nato sotto il segno della contrapposizione costante, dell’indifferenza, della difficoltà di dialogo. Certo è che il padre non aveva alcuna intenzione di occuparsi dei figli. Presente a intermittenza, mai inquadrato in un lavoro preciso, sarebbe presto sparito di casa per lunghi periodi. Fino a trasferirsi prima a Milano, poi a Roma. Inseguendo una felicità fatta di belle macchine, donne intercambiabili, soldi raccattati qua e là. La madre, che aveva creduto con forza in quel matrimonio, che aveva desiderato davvero di avere bambini, s’era alla fine trasformata in una mutaforma. Capace di indossare maschere, personalità, diverse tra loro. Sempre lontanissime dal prototipo che andavano cercando i suoi figli: quello della mamma presente, affettuosa, attenta ai loro problemi.

Per lunghi anni, Susanna Tamaro e i fratelli hanno cercato in casa di rappresentare la «non esistenza. Non fare rumore, non parlare, non disturbare, non avere sciocche esigenze». Tanto che la scrittrice ammette, senza troppi giri di parole, di essersi sentita per lunghi anni una sorta di iceberg. Di non presenza, di mondo inaccessibile. Di scendiletto pronto ad adeguarsi a chiunque si trovasse in sua compagnia.

Potevano essere diversi, quegli anni. Grazie alla presenza di Gianna, una ragazza che era stata chiamata per seguire Susanna e il fratello più grande mentre i genitori non erano in casa. Lei rappresentava i giochi al parco, i gelati mangiati con gran gusto, i sorrisi e le storie. La speranza, insomma, di una vita normale. Poi, un giorno, era sparita come se non fosse mai esistita. Senza che nessuno giustificasse agli occhi dei ragazzi quello che loro vivevano come un tradimento. «Spesso - scrive Susanna Tamaro -, nell’età adulta, mi sono ritrovata a pensare che forse, proprio grazie alla sua presenza mio fratello e io non siamo morti in giovane età in qualche gabinetto di periferia con un ago conficcato nelle vene».

Solo molti anni dopo, ormai famosa e osannata per “Va’ dove ti porta il cuore”, Susanna Tamaro avrebbe scoperto la storia di Gianna dopo la sua sparizione. Aveva semplicemente continuato a vivere vicino a Trieste. Si era sposata, era felice, ma per tutta la vita non aveva smesso di informarsi sulla sorte di quei ragazzi. Fino a ritrovare la sua Susanna bambina trasformata in una scrittrice di successo. «Morì due giorni prima che uscisse “Per sempre”, il mio ultimo libro - racconta in “Ogni angelo è tremendo” -. Quando capì che non ce l’avrebbe più fatta a leggerlo, chiese a Umberto di comprarne una copia e di metterla accanto a lei, nella tomba. Così fece e così, finalmente, siamo insieme. Per sempre».

Nipote di Italo Svevo, che cita con grande discrezione, discendente di una famiglia importante come i Veneziani, Susanna Tamaro ha dovuto inventarsi la strada da seguire un po’ alla volta. Trovando nella nonna materna una presenza forte, importante, con cui incontrarsi e scontrarsi («Penso che quello che, alla fine, ci ha unite, sia stata la comune esigenza di raggiungere la verità nei rapporti»). Scoprendo come una folgorazione dentro le immagini di “Andrej Rublëv”, il capolavoro di Andrej Tarkovskij, la possibilità di raccontare storie. Di dare voce a un mondo che le cresceva dentro.

Quel mondo nascosto, fatto di illuminazioni spirituali e richiami dal mondo della Natura, riflessioni sul senso del nostro essere qui e ora e storie aggrappate al vissuto, che neanche la via del cinema, imboccata con la frequentazione del Centro Sperimentale, era riuscito a portare allo scoperto. Perché scrivere per Susanna Tamaro, che da bambina preferiva le riviste a fumetti ai grandi capolavori come “Guerra e pace” di Lev Tolstoj, è «squartamento della propria vita, che a ogni istante soggiace a quella tirannia, e della realtà che compare sotto i nostri occhi».

Imparare a vivere, per Susanna Tamaro, è stato scoprire che, a un certo punto, si possono perdonare non solo i genitori. ma anche la vita, perché è più importante provare a conoscere se stessi. Così, oggi, lei confessa: «Se sono una persona mite, è perché so di poter essere anche estremamente violenta. Se sono coraggiosa, è solo perché il mio sentimento predominante è la paura. Se so scrivere storie che toccano il cuore di molti, è perché il mio cuore è costantemente aperto e pronto ad accogliere le inquietudini, le contraddizioni e le sofferenze del mondo».

Scrivendo, Susanna Tamaro ha saputo attraversare l’oscurità. Senza cedere al richiamo dell’abisso.

alemezlo

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