Susanna Tamaro, la ricerca di sé
di Alessandro Mezzena Lona
Faceva paura agli editori quella ragazza così brava. Che a vent’anni, o giù di lì, proponeva loro di pubblicare un romanzo legato a filo doppio con la grande tradizione letteraria triestina. Un testo breve, nervoso, folgorante alla lettura. Sospeso tra i richiami psicoanalitici dell’antenato Italo Svevo della “Coscienza di Zeno” e il vitalismo irrequieto, spirituale e terragno di Scipio Slataper e del capolavoro “Il mio Carso”.
Era così anomalo rispetto alla narrativa italiana di quegli anni “Illmitz”, il romanzo ultimato con febbrile ispirazione da Susanna Tamaro nel maggio del 1982, che molti editori si tirarono indietro. Tentennarono, dissero «non è il momento», chiesero ancora un po’ di tempo. Da allora, sono passati trentadue anni. Nel frattempo, la scrittrice triestina ha venduto sedici milioni di copie nel mondo con il suo “Va’ dove ti porta il cuore”. Si è tolta la soddisfazione di seminare lungo il suo percorso narrativo libri importanti come “Per voce sola” e “Anima mundi”, “Per sempre” e “Ogni angelo è tremendo”. Ha inventato favole per raccontare le stranezze del nostro mondo malato. Ha debuttato alla regia con il film “Nel mio amore”.
Nonostante tutto, “Illmitz” ha dovuto aspettare. Fino a quando Susanna Tamaro si è sentita pronta a tirarlo fuori da un cassetto. Rischiando molto: perché non è normale, per uno scrittore affermato, mettersi a confronto con un se stesso ragazzino. Acerbo, totalmente avulso dalle logiche editoriali.
Ebbene, “Illmitz” arriva adesso pubblicato da Bompiani (pagg. 148, euro 14), che lo distribuisce nelle librerie da domani, senza che Susanna Tamaro abbia voluto riscrivere la sua storia. Ed è anche per questo che il romanzo risulta particolarmente interessante. Diventa, sotto gli occhi del lettore, una specie di laboratorio aperto. Capace di tracciare il ritratto dell’artista da cucciolo.
“Illmitz” è la storia di un irregolare. Il viaggio che compie un giovane uomo di 25 anni tra Trieste e l’Austria. Per provare a ritrovare se stesso in quel paesino di duemila anime che si affaccia su un lago. Lì dove la sua famiglia abitava prima di trasferirsi a vivere sul Carso. In quel posto, tirando tardi e specchiandosi nel paesaggio, collezionando strani sogni e vagando senza una meta, proverà a capire se stesso.
Per farlo, deve mettersi a nudo. «La mia anima è pur sempre quella di un macinasogni», confessa. E non fa fatica a capire che si sente «a volte, più albero che uomo». Per quella sintonia con la Natura che non riesce a trovare con i suoi simili. Certo, per provare a superare il senso di inadeguatezza che gli è proprio, deve confrontarsi con i fantasmi del passato. Che si presentano così, uno in fila all’altro, come calcassero le assi di un palcoscenico immaginario.
Vivissimo ritorna il ricordo della sorella Agnese. Morta troppo giovane, investita mentre attraversava la strada con gli occhi chiusi. Per vedere se il suo angelo custode sarebbe intervenuto a salvarla. Un’anima troppo sensibile, inadeguata al vivere spietato del mondo. Capace di creare attorno a sé un’aura di spiritualità intollerabile per un fratello adolescente. A fare da controcanto alla sorella c’è la fidanzata Cecilia. Ragazza caratterizzata da una carnalità esplosiva, da una sessualità esuberante. Il giusto contrappeso a un giovane uomo forse troppo imbrigliato dentro pensieri vaghi. E poi c’è Andrea, l’amico d’infanzia rimasto a vivere sul Carso. Per non allontanarsi dalle proprie radici. Una sorta di alter ego incapace, però, di farsi ascoltare. Di farsi copiare.
Tra le righe di “Illmitz” prende forza anche il tema della madre. Che ha caratterizzato alcune tra le pagine più belle di Susanna Tamaro. Dagli indimenticabili ritratti familiari di “Anima mundi” fino ad arrivare all’autobiografia narrativa “Ogni angelo è tremendo”. E anche in questo primo romanzo di formazione, si fa strada l’emozione che coglie il protagonista quando si trova a frugare tra le cose lasciate dalla donna al momento di morire. Piccoli, pudichi sonetti, accompagnati da disegni di fiori ad acquarello. Timide tracce di una vita interiore che spalancano il cuore inaridito del giovane uomo.
Alla fine di questo romanzo perturbante e bello, sarà lui che troverà il coraggio di confessare: «Io sono un clandestino». Clandestino della vita, s’intende. Dello stare al mondo.
alemezlo
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