Superstizioni, paure e leggende I gatti neri attraverso la storia

TRIESTE Sui gatti neri circolano da sempre molte leggende. I mici dal manto scuro hanno sollecitato la fantasia in tutte le epoche, guadagnandosi purtroppo la fama di gatto che porta sfortuna. Una superstizione del tutto infondata, che ha reso però la vita difficile. Le origini di queste superstizioni affondano nel Medioevo.
Ai quei tempi ci si spostava con le carrozze e poteva capitare che nelle strade buie i cavalli venissero spaventati dagli occhi dei gatti neri o da un loro improvviso attraversamento. I cavalli imbizzarrendosi creavano scompiglio tra i passeggeri: da lì leggenda che i gatti neri fossero controllati direttamente dal demonio. Ma a ricamare ulteriormente questa storia, nel 1200 ci fu anche Papa Gregorio IX che aveva ribattezzato il gatto nero come fedele amico delle streghe, dando così il via libera ad una caccia spietata.
Mentre nel Medioevo i gatti venivano perseguitati e uccisi, nell’antico Egitto, il gatto nero e i felini in generale, venivano adorati. Non a caso, la dea Bastet viene rappresentata come un bellissimo gatto nero o una donna con una testa di gatto. Questa divinità era un simbolo positivo di armonia e felicità, protettrice della casa, custode delle future mamme e capace di tenere lontani gli spiriti maligni. Credenze che fanno un po’ sorridere. Eppure ci sono ancora Paesi - inclusa l’Italia - in cui resiste la sciocca diceria che il gatto nero porti sfortuna. Invece, in realtà come la Scozia, il Giappone e l’Inghilterra, il gatto nero è simbolo di fortuna e si pensa che averne uno in casa significhi prosperità. In Germania se un gatto nero attraversa la strada da destra a sinistra in genere si pensa porti sfortuna. Al contrario, da sinistra a destra, porterà fortuna. In Cina i gatti neri sono ritenuti portatori di fame e di povertà, mentre in Lettonia la nascita di gattini neri indica che ci sarà un buon raccolto. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo