Sulle tracce dei tesori nascosti dai nazisti
TRIESTE. Come uno stanco refrain, ogni tanto salta fuori la notizia: caccia all’oro di Dongo, o al tesoro di Göring, o ancora all’oro scomparso della Banca d’Italia. Sono passati sessantasei anni dalla fine della seconda guerra mondiale, eppure gli strascichi e soprattutto i misteri di tante vicende di quell’immane conflitto continuano a tenere banco. La scomparsa di ingenti ricchezze appartenute al Terzo Reich (e in parte al regime fascista) è uno degli argomenti più controversi e affascinanti, tali da mobilitare legioni di ricercatori più o meno titolati, lanciati per terra e per mare alla ricerca dei tesori nascosti.
È di questi giorni la notizia che un gruppo di annoiati miliardari inglesi si è messo in testa di scandagliare con un sottomarino i fondali del lago Stolp, nel circondario di Oberhavel, a poco più di un’ora di macchina da Berlino, dove si dice che Hermann Göring, braccio destro di Hitler, avesse gettato diciotto casse contenenti un miliardio e mezzo di dollari prelevati dalla banca centrale polacca, per sottrarli all’Armata Rossa in rapido avvicinamento. Già a suo tempo la Stasi aveva provato a cercare le casse, senza esito. Ma il gusto dell’avventura e della ricerca è più forte di ogni logica, e così l’ennesimo inseguimento dell’oro nazista può avere inizio.
Ma cosa c’è di vero in questi miti dell’era moderna, dove la “cerca” assume a volte toni da leggenda? In realtà di vero c’è molto, come spiegano Enzo Antonio Cicchino e l’udinese Roberto Olivo, giornalisti e ricercatori storici, nel libro “Caccia all’oro nazista - Dai lingotti della Banca d’Italia ai beni degli ebrei: indagine sui tesori scomparsi” (Mursia, pagg. 309, euro 18,00), una vera e propria mappa delle ricchezze predate durante la guerra, redatta in forma di reportage. Il libro prende le mosse dal tesoro della Banca d’Italia, 120 tonnellate d’oro, tra cui otto provenienti dalla Banca nazionale jugoslava e finite nel 1941 nei forzieri italiani come preda bellica, più 14 tonnellate e mezzo trasferite all’Italia dal governo francese di Vichy e altri 373 chili provenienti dalle razzie in Grecia.
Insomma una montagna d’oro che dopo l’Armistizio ebbe varie vicissitudini, frammentadosi in tre filoni: una parte finì a Fortezza in Alto Adige, un’altra in Germania, una terza nelle banche svizzere. In gran parte l’oro tornò poi nei forzieri italiani, ma ancora oggi si parla di 79 casse d’oro nascoste dalle SS nel 1944 sul Monte Soratte. Ma questa è solo una delle vicende indagate Cicchino e Olivo, che ricostruiscono e raccontano altre storie cariche di suggestione. Come quelle che riguardano le attività delle squadre del “Gold Rush” (corsa all’oro) gruppi speciali di esperti costituiti dagli Alleati già nel febbraio del 1945, alla vigilia dell’avanzata di Germania, sotto il controllo dei servizi segreti, con lo scopo di individuare i nascondigli di tutti i beni della Reichsbank e delle SS. Furono gli uomini del “Gold Rush” a scovare nelle miniere di potassio di Kaiseroda quella che gli autori del libro definiscono la Caverna di Alì Babà.
Nella miniera, a mezzo miglio di profondità, una porta blindata nascondeva tonnellate d’oro in lingotti, un milione di franchi svizzeri, un miliardo di franchi francesi, 711 sacchi contenti ciascuno 25mila dollari. Più valigie gonfie di oggetti d’oro e d’argento, sacchi di denti e protesi dentarie d’oro, gioelli di ogni genere. In un’altra galleria della miniera erano ammassate 400 tonnellate di quadri e altre opere d’arte firmate da Rembrandt, Tiziano, Van Dyck, Raffaello, Dürer, Renoir. Sono storie che riportano alla mente atmosfere alla pirati dei Caraibi, anche se, scrivono Cicchino e Olivo, «pirati e corsari erano dilettanti, se messi a confronto coi moderni razziatori nazisti». Gli autori naturalmente indagano anche la storia dell’oro di Dongo, un tesoro stimato in diversi milioni in oro, beni e valuta, che Mussolini aveva con sé al momento della cattura e che è andato disperso.
La vicenda è ricostruita nel dettaglio e si intreccia con quella tragica di “Gianna” e “Neri”, i due amanti partigiani uccisi dai loro commilitoni. Come non fossero cronache sufficientemente romanzesche, nel libro non mancano personaggi da spy-story, come Herbert Herzog, sopravvissuto al campo di sterminio di Buchenwald, che nel dopoguerra diventò una specie d’investigatore mettendosi sulle tracce dell’oro trafugato dai tedeschi in tutta Europa. Alla fine di questo viaggio-reportage nei misteri, Cicchino e Olivo non indulgono in facili approssimazioni e non alimentano falsi miti. Però ammettono: su molti di questi avvenimenti il mistero resta. E chissà che adesso i ricchi e annoiati cacciatori di tesori inglesi con riescano davvero con il loro sottomarino a ritrovare nelle limacciose acque del lago Stolp il tesoro scomparso di Göring.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo