Sulla “Macedonia del Nord” si infiamma la polemica

ZAGABRIA. Parte tutto in salita il percorso che dovrà portare alla nuova denominazione di “Repubblica della Macedonia del nord”: tanto nell’ex Repubblica jugoslava quanto in Grecia, gli oppositori alla soluzione trovata dopo lunghi negoziati hanno già annunciato un’aspra battaglia. Skopje ed Atene hanno trovato l’altra sera un accordo sul nuovo nome della Macedonia, che potrà potrà così liberarsi dell’acronimo Fyrom (Former yugoslavian republic of Macedonia) che si porta addosso dal 1991, ossia dalla fine della Jugoslavia socialista. La quasi trentennale controversia tra i due vicini meridionali dei Balcani, che ha impedito l’ingresso della Macedonia nella Nato e ne ha rallentato il cammino di integrazione europea, potrebbe volgere al termine. Ma il condizionale è d’obbligo. Per essere valido, il compromesso trovato tra i due capi di governo - il macedone Zoran Zaev e il greco Alexis Tsipras - va ratificato in entrambi i paesi. Operazione che non si preannuncia facile.
Ma veniamo ai dettagli dello storico compromesso. Per 27 anni Atene ha rifiutato di chiamare “Macedonia” il suo dirimpettaio, perché quello stesso nome indica - nel territorio greco - la regione con capitale Salonicco. Proprio su questa confusione è nata nel tempo una diatriba storica, culturale e simbolica (Alessandro Magno era greco o macedone?). Il premier greco ha infine firmato per il nome “Macedonia del nord”, traducibile in tutte le lingue come richiesto da Skopje, e associato ai codici internazionali Mk e Mkd (Nmk sulle targhe delle auto) e l’etnico “macedone” per i suoi abitanti, così come per la lingua. «In base all’accordo i nostri vicini settentrionali non possono rivendicare né oggi né in futuro l’eredità culturale dell’antica Macedonia greca», ha detto Tsipras.
Ma se la Commissione europea, il Consiglio d’Europa e i ministeri degli Esteri di Usa, Germania e altri Paesi si sono rallegrati della svolta, il Capo di Stato macedone Gjorgje Ivanov, eletto in seno al partito conservatore Vmro-Dpmne, è rimasto ieri per soli due minuti al tavolo col premier Zaev e il suo ministro degli Esteri Nikola Dimitrov. Qualche ora più tardi Ivanov ha annunciato in un discorso alla nazione che non firmerà l’accordo siglato con Atene. Anche il leader del Vmro-Dpmne, all’opposizione, Hristian Mickoski ha criticato un compromesso che accoglie «tutte le posizioni della Grecia» e impone una modifica della Costituzione.
E non è andata meglio ad Atene, dove ancor prima dell’annuncio nel nome il ministro della Difesa Panos Kammenos, alla guida del partito nazionalista dei Greci indipendenti (nella coalizione di maggioranza), ha invitato i deputati a votare contro un appellativo che contenesse il termine “Macedonia”. Tsipras dovrà cercare altrove i voti per far approvare l’accordo in Parlamento; e dovrà affrontare pure le piazze greche. Manifestazioni sono infatti già previste per l’8 luglio, alcune potrebbero tenersi già il prossimo weekend. Nel fine settimana infatti è prevista la firma ufficiale dell’accordo in Grecia: momento simbolico che potrebbe trasformarsi in catalizzatore per le opposizioni di entrambi i paesi. Per l’entrata in vigore della denominazione bisognerà aspettare infine l’autunno, quando in Macedonia si terrà un referendum tutt’altro che scontato.
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