Sul superporto scende in campo Generali
Unicredit raduna i potenziali soci del progetto per la piastra logistica del Nordest, il cosiddetto superporto da un miliardo di euro che dovrebbe rilanciare gli scali di Trieste e Monfalcone. L’incontro a Verona
TRIESTE.
Le loro mani, sulla rampa di lancio del superporto Trieste-Monfalcone, già si stringono. Niente salti nel buio, però: quelle stesse mani, ora, sono calde il giusto per tastare da subito i polsi di chi, in quel superporto, deve crederci per determinarne il successo, o meglio la sostenibilità, cioè le compagnie di navigazione leader nel mondo. A cominciare dalla danese Maersk, con cui sono già stati attivati i primi contatti.
Le stesse compagnie che, oggi, privilegiano gli scali del Nord Europa per scaricare i container imbarcati nel Far East, mettendoci cinque giorni di viaggio in più ma potendo contare poi su un sistema logistico migliore per sbarco e prosecuzione via terra delle merci. Le mani che (già) si stringono, attorno e con quelle di Unicredit, il primogenitore del progetto, appartengono ad alcuni dei più grandi operatori della logistica e della finanza, italiani e non solo. Compreso, adesso, quello che, per Trieste, è il gioiello di famiglia: Generali.
Col Leone sono almeno sei i colossi che stanno correndo - anzi, bruciando le tappe - per raggiungere, nel più breve tempo possibile, il chiodo fisso della costituzione della cosiddetta società di corridoio, ovvero il futuro gestore del superporto e delle relative infrastrutture di trasporto merci verso Vienna, Monaco ed Europa centro-orientale.
Infatti, dopo appena tre settimane dall’annuncio in pompa magna della piastra logistica del Friuli Venezia Giulia, fatto a Trieste da Unicredit col placet politico della Farnesina, il tempo degli applausi di approvazione (e di facciata) da parte dei possibili partner è ben che finito. È il momento delle trattative (per definizione, non di facciata) e degli accordi informali che precedono un risultato: la nascita della società di corridoio, per l’appunto, la regista di un’operazione da un miliardo di euro in quattro anni.
IL TAVOLO DI VERONA
I destini di Trieste e Monfalcone, e più in generale del Friuli Venezia Giulia, sono in questi giorni al centro di una serie di incontri che si stanno tenendo nel vicino Veneto, a Verona. È il quartier generale di Unicredit Corporate dell’ad Massimo Pecorari, dove entrano ed escono i vertici di quelle realtà che si candidano a investire per poi gestire il superporto compartecipando con la capogruppo di Alessandro Profumo - lui che è ad di Unicredit tutta - alla creazione di questa società di corridoio. E son potenze che, gira e rigira, in effetti hanno già qualche mano che si stringe reciprocamente, visto il loro raggio d’azione nei medesimi settori, in primis i trasporti.
Una è la multinazionale iberica Abertis, un’altra è la galassia Benetton attraverso la società-veicolo Sintonia, proprietaria del 38% di Atlantia. Quest’ultima è la holding delle infrastrutture - per la cui presidenza si è fatto il nome di Fabrizio Palenzona, vicepresidente di Unicredit e consigliere di Mediobanca, nonché numero uno di Aiscat e Assoaeroporti - che a sua volta detiene il 100% di Autostrade per l’Italia. E Autostrade, all’epoca dell’ultimo governo Prodi, si sarebbe dovuta unire in matrimonio proprio con Abertis. Un’ulteriore potenza scesa in campo è, come detto, Generali, che fra le altre ha una partecipazione del 3,35% in Atlantia.
Chiudono il cerchio delle potenze sedute al tavolo di Verona il gruppo Gavio - che oltre ad essere uno degli attuali concessionari dal nome più altisonante del porto triestino è entrato col 18% nella General cargo terminal che gestirà Scalo legnami - e il Gruppo Fs, a riprova che la piastra logistica del Friuli Venezia Giulia, che per diventare realtà deve potenziare i suoi sistemi di trasporto retroportuali verso il cuore del Continente, passerà sotto il cappello pubblico.
LE SCELTE STRATEGICHE
Anche se non dovrà - e questa stando ai rumors sarebbe un’altra novità - necessariamente passare sotto il cappello del commissario straordinario che ne sveltisca le procedure, almeno questo si dice sia l’orientamento di cui hanno discusso ultimamente a quel tavolo Unicredit, Generali e compagnia. Già si sa invece che - effetto naturale della concessione trentennale ipotizzata come royalty per il project financing - la società di corridoio punta a rilevare la concessione del Molo VII raddoppiato. E qui è tutto da capire, ancora, quale possa essere il ruolo di prospettiva per Italia Marittima di Pierluigi Maneschi.
Che sia in atto un’accelerazione da parte dei privati nel possibile affare di domani legato alla portualità e alla logistica - non solo triestino ma addirittura, più in generale, italiano - è una deduzione suggerita anche dalla voce secondo cui, parallelamente alla questione superporto, Unicredit si starebbe occupando del rafforzamento del porto di Genova, nell’ambito della doppia sfida Alto Tirreno-Alto Adriatico che l’Italia lancia all’Europa settentrionale. Profumo in persona pare sia fresco di visite, con all’ordine del giorno proprio il corridoio Genova-Rotterdam, negli uffici del presidente della Regione Liguria Claudio Burlando e del sindaco di Genova Marta Vincenzi.
LA TRATTATIVA CON MAERSK
Tornando in ogni caso ai retroscena di queste terre, ciò che i colossi mirano a puntellare fin dall’avvio dell’operazione è, appunto, l’interesse dei grandi operatori della navigazione. I più grandi del mondo. La chiave della sostenibilità di una rivoluzione da quattro milioni di teu entro il 2020 è, in fondo, nelle loro mani. Nei loro polsi. Nel loro credere, o meno, alla sfida. Più che di Trieste, di Monfalcone. È là infatti che sarebbe sufficiente un by-pass su rotaia per aggirare la città dei cantieri e collegare la nuova spianata sul mare direttamente allo snodo di Ronchi, dove passa la direttrice verso Mestre e dove parte, soprattutto, quella Pontebbana che, già con i crismi dell’alta capacità ferroviaria, porta in Austria via Tarvisio.
La società di corridoio in pectore, per questo motivo, secondo i bene informati starebbe puntando direttamente all’obiettivo più grosso - la danese Maersk, la prima compagnia del mondo per il traffico di container che ha invertito di recente la priorità dello scalo tra Trieste e Capodistria per le navi provenienti dal Far East - per abbozzare una sorta di gentleman’s agreement: io ti costruisco un superporto che ti fa risparmiare tempo nella consegna delle merci a Budapest, ad esempio, e tu inizi a programmare un graduale switch di rotte, dal Nord Europa all’Alto Adriatico.
Nel caso in cui la controparte si mostrasse fredda, sarebbe comunque già pronto un piano B, con la caccia ad altri big: la cinese Cosco, nota nel Mediterraneo con la sigla Coscos, un altro colosso di Shanghai come China Shipping, le cui portacontainer hanno già toccato il Molo VII, e infine la multinazionale di Hong Kong Hutchison, che controlla una quarantina di terminal tra Asia, Africa, Americhe ed Europa e che gestì con la partecipata olandese Ect, prima dell’arrivo di Luka Koper nel 2001, lo stesso Molo VII.
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