Sul relitto dell’antico vascello i resti di un’ottava vittima

Prosegue la campagna di scavi subacquei a Grado
GRADO
I frammenti bruniti di una sciabola forse da artigliere di Marina indicano la presenza, poco più sotto, sepolto nella sabbia del fondo, del suo possessore. E puntualmente lo scavo restituisce i resti scheletrici di quello che con ogni probabilità era un graduato, uno dei novanta uomini dell’equipaggio del Mercurio, il vascello del Regno Italico affondato al largo di Grado la notte tra il 21 e il 22 febbraio 1812 durante la battaglia tra una flotta italo-napoleonica proveniente da Venezia e una della Marina inglese. Nel corso dello scontro navale il vascello italico esplose spezzandosi in due. In pochi minuti lo scafo si adagiò a 18 metri di profondità, dove si trova tutt’ora, con il suo carico di morte e distruzione. E qui, sul fondo del mare, la settima campagna di scavi archeologici diretta dal docente di archeologia navale Carlo Beltrame e promossa dall’Università Ca’ Foscari di Venezia in collaborazione con la Soprintendenza del Veneto e finanziata dalle Regioni Fvg, Veneto e dal Comune di Lignano, sta riportando alla luce centinaia di reperti in grado di fornire un quadro dettagliato di come si viveva e combatteva a bordo di un vascello ottocentesco, e cosa avvenne durante la battaglia che costò a Napoleone Bonaparte l’agemonia dell’Adriatico.


I resti del marinaio emersi insieme alla sua sciabola appartengono all’ottava vittima finora individuata di quel violentissimo scontro. E mentre nel palazzo municipale di Lignano è allestita fino a novembre una mostra a pannelli che racconta la vicenda del Mercurio e la inquadra storicamente (e il cineoperatore subacqueo Duilio Della Libera ha in progetto un documentario sul Mercurio), sul fondo dell’Adriatico la squadra di tecnici e archeologi guidata da Beltrame e composta dall’archeologo Dario Gaddi, da Stefano Caressa dell’omonina ditta di lavori marittimi di Grado, Francesco Dossola della Soprintendenza del Veneto, più un gruppo di studenti del master in Archeologia marittima (Elisa Costa, Mariangela Nicolardi, Luca Scuderi, Davide Morocutti, Stefano Bonometti) in questi giorni sta terminando la campagna 2009 che come l’anno scorso si è concentrata sulla zona di prua del vascello. In un lavoro lento e tecnicamente difficile lo scavo procede verso il secondo livello all’interno dello scafo, là dove si era svolta forse la fase più cruenta dello scontro. In questi giorni oltre ai resti di altri due marinai - i primi caduti della Marina militare italiana -, lo scavo ha restituito molti oggetti tra cui due pistole, una tazzina in ceramica, una botte, uno scandaglio, frammenti di uniformi (persino stivali), decine e decine di pietre da acciarino, cumuli di gomene. Insomma una quantità di reperti che si aggiungono agli oltre mille già riportati in superficie nelle precedenti campagne archeosubacquee, compresi alcuni gioielli e preziosi che avallano l’ipotesi di un carico di valori a bordo del brick italico.

Tassello dopo tassello dalla sabbia del fondo riemerge l’antico vascello, colto negli ultimi istanti del naufragio. E ancora una volta il relitto del Mercurio si rivela uno dei più straordinari siti archeologici d’Europa. Non è un caso che tra gli ospiti della campagna di quest’anno ci sia il giovane ricercatore americano Brian Seymour, 27 anni, della Clemson Univeristy, nel South Carolina, dove stanno studiando il famoso relitto dell’Hunley, primo esempio di sottomarino usato in battaglia nel 1864 dalla Marina degli Stati Confederati d'America, e recuperato nel 2000 dopo 15 anni di ricerche. Ma le potenzialità del relitto del Mercurio sono enormi, senza dubbio maggiori dell’Hunley, sia sotto il profilo archeolgico che storico e perchè no, turistico. Anche se sul futuro del sito archeologico pesa l’incognita sia dei finanziamenti sia del nuovo Ddl sulla disciplina delle attività subacquee e iperbariche, una legge - in discussione in questi giorni - che fissa tutta una serie di paletti - tra cui i conseguimento per tutti gli operatori, archeologi compresi, di un brevetto tecnico Ots, operatore tecnico subacqueo: «La legge così come viene proposta - spiega Beltrame - bloccherà completamente l’attività di ricerca, in particolare quella archeologica. La necessità che archeologi delle soprintendenze, delle università e professionisti siano datati di un brevetto Ots taglierà fuori decine di archeologi subacquei e impedirà agli studenti di formarsi». «Inoltre - conclude Beltrame - l’impossibilità per le università di operare con studenti anche in cantieri a bassissimo rischio costringendo queste strutture ad impiegare solo tecnici Ots farà lievitare i costi a livelli insostenibili e di fatto farà venir meno una delle loro motivazione principale ossia la formazione degli studenti».
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