«Sul regime extradoganale del punto franco di Trieste l’ultima parola spetta al governo italiano»

L’indicazione della lettera inviata al Senato dal commissario Ue Gentiloni. Illustrati vantaggi e rischi dell’operazione

Diego D’amelio
EU commissioner for Economy Paolo Gentiloni gives a press conference after a virtual Eurogroup meeting at the European Council in Brussels, Belgium, 15 February 2021. ANSA/STEPHANIE LECOCQ / POOL
EU commissioner for Economy Paolo Gentiloni gives a press conference after a virtual Eurogroup meeting at the European Council in Brussels, Belgium, 15 February 2021. ANSA/STEPHANIE LECOCQ / POOL

TRIESTE Sul pieno riconoscimento dell’extradoganalità del Porto franco di Trieste la Commissione europea rilancia la palla nel campo del governo italiano. Fa discutere la lettera firmata dal commissario per l’Economia Paolo Gentiloni in risposta alla risoluzione del Senato che aveva chiesto a Bruxelles di far partire l’iter per l’applicazione delle esenzioni doganali previste dall’Allegato VIII del Trattato di pace di Parigi. Con il loro intervento di ieri, Francesco Russo e Alberto Pasino hanno lanciato l’allarme rispetto alle conseguenze nefaste della replica Ue, che al momento si limita però solo a un’osservazione di tipo procedurale.

L’iniziativa del Senato è stata innescata dal Pd, cui ora un esponente dem come Gentiloni si trova a rispondere nelle vesti di membro della Commissione europea. Il primo aspetto sottolineato da Gentiloni è che la richiesta del Senato è impropria, perché l’unico soggetto titolato a richiedere l’extradoganalità di Trieste è il governo. Il principio non è messo in discussione e anzi il commissario ne approfitta per mettere in evidenza vantaggi e svantaggi che potrebbero derivare dal sistema dei punti franchi.

Il punto saliente e politico sta nelle ultime righe della missiva, dove si scrive che «la valutazione giuridica per giustificare un’eventuale esclusione della zona franca del porto di Trieste dal territorio doganale dell’Ue sarà effettuata se il governo italiano decidesse di presentare alla Commissione una richiesta». Tocca all’esecutivo insomma e qui si torna al solito punto: la reale disponibilità del ministero dell’Economia, cui bussano da anni l’Autorità portuale e di recente l’intero arco del Consiglio regionale.

Per la prima volta però dall’Ue arriva un preciso dettaglio su ciò che il porto franco significherebbe a Trieste. «Occorre valutare attentamente le conseguenze dell’esclusione dal territorio doganale dell’Unione», scrive non a caso Gentiloni. Il commissario sottolinea che sarebbe in effetti garantito ciò che gli operatori economici e la politica ritengono la svolta per il futuro di Trieste: la possibilità di introdurre e trasformare industrialmente merci non Ue «in esenzione dai dazi all’importazione e da altri oneri, comprese misure di politica commerciale». Ma c’è il rovescio della medaglia, ovvero la necessità di applicare le procedure fiscali e doganali Ue ai prodotti che da Trieste fossero poi inviati in Europa, Italia inclusa, perché «il porto sarebbe considerato, ai fini doganali, un “paese terzo”». Allo stesso modo, quei prodotti non potrebbero beneficiare degli accordi di libero scambio firmati dall’Unione con paesi esterni.

Non è una bocciatura, ma l’invito al governo a dire la sua. Lo rimarca Stefano Visintin, rappresentante di terminalisti e spedizionieri: «Il parere dice che ci sono vantaggi e svantaggi nell’extradoganalità. Ora la parola passa al governo ed è giusto sul piano istituzionale: spero ci sia unità di intenti della politica e del mondo economico nel chiedere il riconoscimento della specificità del regime doganale».

L’appello arriva anche dai sindacati. Per la prima volta Cgil, Cisl e Uil si esprimono con chiarezza sulla necessità di arrivare al regime di esenzioni: «La risposta negativa della Commissione pone un enorme problema per Trieste. Il governo deve intraprendere la strada suggerita dall’Ue, perché il porto rappresenta un importante volano per l’occupazione giovanile in regione».

A provocare l’azione del Senato è stata la parlamentare Tatjana Rojc, che rivendica come «con la risoluzione abbiamo ottenuto il risultato di aprire il dialogo con la Commissione e ricevere un’indicazione precisa. In quella direzione lavoreremo, attraverso interlocuzioni con il governo». Per la capogruppo Pd alla Camera Debora Serracchiani «gli spazi di trattativa esistono e la lettera lo fa capire. Una situazione ferma da decenni richiede un lavoro su più fronti ed è quello che stiamo portando avanti in Parlamento e con il governo, per far sentire le nostre ragioni a Bruxelles». L’ex europarlamentare Giorgio Rossetti critica intanto l’allarmismo del compagno di partito Russo: «La semplice illustrazione da parte di Gentiloni di una procedura codificata viene interpretata come un attentato che cancellerebbe “trecento anni di storia della nostra città”. Siamo per il momento alla tempesta nel bicchier d’acqua”».

Al governo si è richiamato l’intero Consiglio regionale, votando una mozione di Fdi: «Siamo stati i primi a portare avanti il tema dell’extradoganalità», dicono il deputato Walter Rizzetto e il consigliere Claudio Giacomelli, secondo cui il parere della Commissione era scontato perché «senza l’intervento del governo la Commissione ha trattato la risoluzione del Senato come una mozione circoscrizionale. Invitiamo tutte le forze responsabili a ripartire compatte».

Riproduzione riservata © Il Piccolo