"Sul fronte dell'Isonzo usavamo le gavette dei compagni morti"
Il racconto della Grande Guerra è composto da tante piccole storie personali. Come quella di Giuseppe Beltrami, classe 1897, nato a Leffe (Bergamo), incorporato nel V Reggimento Alpini, Battaglione Edolo, 285.a compagnia, il 2 ottobre 1916. La nipote Maria Elisa Villa, che abita a Curno, sempre nella provincia bergamasca, ha recuperato il suo diario di combattente trascrivendone il manoscritto. Le parole scorrono dolcemente, ricordando un nonno che non smise mai di celebrare la vita nonostante tutto ciò che vide al fronte. Dopo il conflitto, egli fece il venditore ambulante di coperte e stoffe. «Sino agli ultimi giorni della sua vita - racconta Maria Elisa - cantò accompagnandosi con la sua chitarra. Suonava anche per rendere meno pesanti le ore a persone ancora più anziane di lui: sai - diceva a chi gli chiedesse il motivo - sono anziani, ne hanno bisogno».
Nel corso della sua esperienza di guerra, il giovane trombettiere Giuseppe conosce atrocità e sofferenze di ogni tipo, e vede morire tanti compagni che non dimenticherà mai. Presente alla battaglia della Bainsizza, del 18 agosto 1917 scrive: «Prima di arrivare in prima linea di combattimento, preghiamo chiedendo perdono al Signore per i nostri peccati. […]Mi metto a ridosso delle stuoie di mascheramento. Sono in piedi. Il rombo di un aereo nemico mi fa sussultare; pare si allontani ma poi fa ritorno; dopo qualche minuto una granata brilla sulla collina provocando una pioggia di sassi, uno dei quali, ricadendo, mi sfiora e colpisce gravemente un compagno alla spalla».
In guerra il filo che divide la vita dalla morte è sottilissimo: «Un nostro sergente, posto nell'avvallamento alle mie spalle, in preda all'eccitazione urlando ai propri soldati di avanzare, si mette a sparare colpendo involontariamente il povero e valoroso maggiore il quale si accascia vicino a me esalando l'ultimo respiro».
Prima di passare l'Isonzo, Beltrami ricorda: «Il nostro caporal maggiore trombettiere, vista la situazione molto grave e pericolosa, ci ordina di avanzare consentendoci di lasciare la coperta, la mantellina e la gavetta per muoverci e correre con più agilità. Ci arrampichiamo su per il pendio della collina e prendiamo posto nelle nuove postazioni; finalmente ci raggiungono i conducenti di muli con cibo e ghirbe piene di acqua; noi, rimasti senza gavetta, siamo costretti ad usare quelle dei nostri compagni morti».
Dal diario di guerra, emerge che il soldato bergamasco, nel corso della battaglia dell'Hermada del 23 agosto 1917, assiste alla morte valorosa di tantissimi compagni d'armi, pari grado come anche superiori: «Seconda ondata. Il tenente Luigi Calvi con i suoi soldati riesce a superare la cima del monte ma viene colpito alla gola da una pallottola nemica; ciò nonostante continua a guidare l'assalto coraggiosamente. Poi un nuovo colpo lo uccide».
Beltrami va all'assalto con la terza ondata: «Inizio a muovermi e passo in un punto stretto fra due sassi: la cassetta del telefono si incastra e mi impedisce di avanzare. Il tenente Gresis mi ordina minacciosamente di andare avanti gridandomi che mi sparerà se non mi sbrigo. Non gli occorre molto tempo per rendersi conto della mia impossibilità a muovermi. Mi sorpassa frettoloso sulla destra e tira diritto sulla cima della collina. Un colpo di mitraglia lo colpisce e muore». «[…]La mischia è furibonda, da ogni parte morti e feriti […]È difficile mantenere la postazione raggiunta; siamo costretti a retrocedere per porci al riparo. […]Alle 5 di sera il nostro capitano Manfredini fa l'appello: di 280 siamo rimasti solo in 73!».
L'ultimo giorno di agosto Beltrami viene inviato a ricevere ordini e per sapere anche se ci si debba ritirare.
Tornando, egli raggiunge un punto sopraelevato ed un soldato meridionale gli racconta di un tragico episodio causato dalla tensione nervosa e dall'angoscia di quelle ore: «Mentre (dei nostri compagni) erano accovacciati per ripararsi dal temporale uno dei nostri ha incominciato a gridare: "i tedeschi, i tedeschi!". Una confusione incredibile: le nostre mitraglie si sono messe a sparare all'impazzata anche sui nostri militi causando, insieme alle granate nemiche, morti e feriti sui due fronti. Il nostro tenente si mette subito in contatto telefonico con il Comando per comunicare che la prima linea è in ordine, ma che purtroppo si trova sotto il tiro delle mitraglie italiane e che, a causa di questa confusione, ha perso un sergente e due soldati. Irritato per l'accaduto il capitano ordina agli uomini di fermarsi, di non abbandonare le posizioni e di tornare indietro; due soldati non ubbidiscono agli ordini e il tenente stesso provvede a passarli per le armi. Esperienze drammatiche, esperienze di guerra! Fradici per il temporale riposiamo sui sassi senza nemmeno avvertire il disagio. Il primo settembre ci viene dato il permesso di ritirarci fino a Canale, sul fiume Isonzo. Qui giunti, finalmente, dopo 13 giorni di battaglia, riusciamo a levarci le scarpe e a lavarci. È un vero sollievo! Sostiamo per due giorni in riva al fiume. Ci resta il tempo per riposare e lavare alla bell'e meglio gli indumenti».
Nelle memorie di guerra scritte nel 1984, all'età di 87 anni sui fogli di un quaderno a righe, Beltrami ricorderà che a settembre, nonostante la concessione alle truppe di cui fa parte di una posizione più tranquilla per riprendere le forze (viene consentito di andare sul Pasubio, dalla parte del Trentino), un contrórdine richiama la sua Compagnia verso il Piave, ma il destino cambierà le cose: «Non so per quale caso o fatalità, fatto sta che la nostra tradotta cambia direzione e ci conduce a Piovene Rocchette (Vicenza); veniamo mandati a dare il cambio alle truppe di fanteria accampate ad Arsiero».
L'esperienza di guerra dell'alpino di Leffe sarà ancora lunga, e il suo servizio militare continuerà fino al giugno 1920, quando arriverà il giorno del sospirato congedo: «Mi vedo consegnare il pacco vestiario e, graditissimo regalo, la cornetta di trombettiere e fanfarista, per me più che un simbolo. […]Mi lasciai alle spalle centinaia di giorni di vita difficile, di stenti. Lasciai nei cimiteri tanti commilitoni. Feci ritorno a casa pronto ad affrontare la vita che non sarebbe stata facile ma certamente felice. Lontana dagli orrori della guerra…».
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