Sul caso della Tripcovich la Soprintendenza di Trieste stroncata dal ministero
TRIESTE Più che una lettera, una stroncatura. La missiva, con cui Federica Galloni direttore generale archeologia-belle arti-paesaggio del Mibac boccia l’abbattimento della sala Tripcovich, colpisce e probabilmente affonda le velleità comunali di eliminare l’ex stazione delle autocorriere dalla prospettiva di piazza Libertà. E forse serve a comprendere una certa rassegnazione mostrata martedì in commissione dal sindaco Dipiazza.
L’epistola ministeriale, datata 11 dicembre, riscontra la nota della Soprintendenza, a sua volta datata 11 novembre, con la quale Trieste chiedeva la revisione del vincolo risalente al 5 luglio 2006. Il tono dell’architetto Galloni risulta piuttosto acido, quasi irritato, fin dalle prime righe, nelle quali accusa la Soprintendenza Fvg di operato «irrituale», in quanto aveva trasmesso per conoscenza la nota al Comune di Trieste: errore - tuona il direttore - in quanto «atto interno, di natura endoprocedimentale».
Poi Federica Galloni, coadiuvata dagli architetti Michela Peretti e Alessandra Marino, comincia a smontare la posizione della Soprintendenza. E lo fa partendo da un’argomentazione principale: ovvero il ministero può rivedere il provvedimento tutorio solo in presenza di fatti nuovi. E fatti nuovi non ci sono, perché l’ex stazione delle corriere è stata trasformata e destinata a nuovo utilizzo, quello di sala teatrale, a partire dal dicembre 1992.
Allora il vecchio edificio firmato da Nordio & Baldi accolse negli spazi interni un cambiamento radicale. Via i vecchi serramenti, via i colori originari degli intonaci, mentre il fascio littorio stilizzato - scrive la Galloni - era già stato surrogato dalla meno impegnativa alabarda.
A proposito dell’esterno - prosegue il direttore - esso «ha conservato una leggibilità che lo include a pieno titolo nel contesto urbanistico ed architettonico triestino in puro stile “littorio”, evidenziando la modernità delle scelte funzionali ed estetiche adottate dai progettisti per la sua realizzazione». Una chiave di lettura che forse spiazzerà i contrari di destra e i favorevoli di sinistra...
Fatto sta che la Tripcovich va considerata «un bene culturale di notevole importanza e perciò degno di particolare tutela». E di conseguenza non sia condivisibile il parere della Soprintendenza, che, nel supportare il progetto del Comune, aveva fatto riferimento alla perdita dei «valori originari» in quanto «il manufatto si presenta ormai depauperato di valenze storico-artistiche o architettoniche».
Ma la direzione ministeriale ritiene vero l’esatto contrario. Non si limita a questa clamorosa smentita di carattere culturale e picchia ancora sodo. La Soprintendenza scrive di mancanza dei requisiti di sicurezza e di evidente degrado? Ebbene, l’architetto Galloni ricorda alla soprintendente Simonetta Bonomi che il decreto legislativo 42/2004 impone alla mano pubblica sicurezza e conservazione dei beni culturali di proprietà.
Alla luce di questi motivi, la competente direzione del Mibac ritiene infine «inammissibile» la revisione del provvedimento tutorio emanato circa quattordici anni fa.
Una risposta puntuta, che non lascia molto margine a ripensamenti. Vergata da un alto dirigente, potrà essere contraddetta da un collega in caso di ricorso gerarchico presentato dal Comune? In commissione IV-VI Dipiazza ha accennato più alla strada politica che a quella giudiziale: e comunque ha preferito non pubblicizzare la lettera ministeriale. Ma perché la Galloni è stata così tranchant nei confronti della Soprintendenza triestina? Un errore “diplomatico” da parte di palazzo Economo? Tensioni centro/periferia all’interno della struttura amministrativa?
In Comune la risposta ministeriale è stata “girata” in data 13 gennaio, in relazione alla richiesta di accesso agli atti formulata dal Municipio il 23 dicembre. Il dossier andrà nell’aula consiliare in occasione della discussione sulla mozione presentata dalla maggioranza di centrodestra, favorevole all’abbattimento della sala. —
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