Suicidio Alina, assolti tutti i poliziotti

Sentenza a favore dei nove indagati per sequestro e omicidio dopo la morte dell’ucraina nel commissariato di Opicina
Lasorte Trieste 16/04/12 - Opicina, Commissariato di Polizia
Lasorte Trieste 16/04/12 - Opicina, Commissariato di Polizia

TRIESTE Alle 18 e 35 l’incubo è finito. «Il fatto non sussiste», scandisce il giudice Giorgio Nicoli leggendo la sentenza. La porta dell’aula di tribunale è chiusa, ma nel silenzio del corridoio le parole del magistrato si riescono a cogliere comunque. Le prime lacrime di gioia, dopo ore e ore di attesa a nervi tesi, sono quelle delle mogli, dei familiari e dei colleghi. I nove poliziotti imputati per il caso di Alina Bonar Diaciuk, la trentaduenne ucraina che nell’aprile del 2012 si è suicidata con un cordino della felpa in una camera di sicurezza del commissariato di Opicina, sono stati assolti.

Le accuse di concorso in sequestro di persona e di omicidio colposo, avanzate dal pm Massimo De Bortoli, sono state smontate dal plotone di avvocati ingaggiato per il processo. Ma la vicenda giudiziaria, per la quale De Bortoli aveva chiesto un totale di vent’anni e nove mesi di carcere, va ben oltre la morte della trentaduenne. Perché il presunto sequestro di persona, costato l’incriminazione dei nove agenti, riguardava non solo la tragedia della giovane ucraina, ma anche 175 stranieri in attesa di espulsione che - stando alla pista investigativa della Procura - in quel periodo sarebbero stati trattenuti irregolarmente nella struttura dell’altipiano analogamente ad Alina. Parcheggiati nelle guardine. Una prassi su cui il pm ha voluto far luce dopo la morte della donna. L’inchiesta, di fatto, ha messo in serio dubbio l’operato della Questura in materia di gestione dei profughi.

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Ma per il giudice Nicoli non è stato affatto così: i poliziotti avevano lavorato in piena regolarità. Le motivazioni delle sentenza di ieri saranno divulgate nelle prossime settimane, ma a sentire gli avvocati una delle possibili chiavi di lettura sta proprio nelle procedure seguite nel commissariato e poi contestate dalla Procura con il caso Alina: dirigenti e poliziotti non avrebbero fatto altro che mettere in atto le direttive impartite dagli organi apicali della Questura e condivise ai massimi livelli istituzionali.

Assolti dunque tutti gli imputati per sequestro di persona, per i quali il pm aveva proposto pene che andavano dai 5 anni e 9 mesi - quella più pesante - a 1 anno, 1 mese e 10 giorni, con tanto di interdizione dai pubblici uffici. Si tratta dell’ex responsabile dell'Ufficio stranieri della Questura, Carlo Baffi, del suo vice Vincenzo Panasiti e dei colleghi Alberto Strambaci, Cristiano Resmini, Alessandro De Antoni e Fabrizio Maniago. Il fatto non sussiste nemmeno per le tre guardie del commissariato incaricate della sorveglianza di Alina, accusate di omicidio colposo per il decesso della trentaduenne: Ivan Tikulin, Roberto Savron e Thomas Battorti (per lui era già stato chiesto il proscioglimento). Savron e Battorti, che non sono stati giudicati in rito abbreviato, sono usciti dal processo con una sentenza di non luogo a procedere. Per il giudice non c’erano responsabilità di omessa vigilanza sul suicidio dell’ucraina.

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Lasorte Trieste 16/04/12 - Opicina, Commissariato di Polizia

L’euforia degli imputati e dei loro legali al termine dell’udienza era palpabile. «Non abbiamo fatto altro che evidenziare quella che era la realtà documentale - ha osservato l’avvocato Paolo Pacileo, che difendeva Baffi - cioè un modus operandi noto e condiviso dalle istituzioni. E pure la Procura ne era consapevole». Così il Roberto Mantello, che tutelava Resmini e De Antoni: «Un processo gravido di suggestioni e chiuso con l’unica sentenza possibile».

D’accordo l’avvocato Gianfranco Grisonich, che ha difeso l’agente Tikulin, una delle guardie in servizio nelle ore in cui si è suicidata la straniera: «Il mio assistito non aveva un compito di vigilanza particolare. In ogni caso - precisa - i poliziotti disponevano di un monitor piccolo, vecchio e diviso per quattro». Tira un sospiro di sollievo anche l’avvocato Giorgio Borean, che ha assistito l’ex vice responsabile dell’Ufficio immigrazione Panasiti: «La polizia ha sempre agito seguendo la legge, se non altro per il fatto che i migranti venivano trattenuti temporaneamente in attesa di perfezionare l’iter di espulsione. E nel loro interesse, altrimenti sarebbero finiti al Cie per mesi».

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