Sui giornali di trincea i luoghi dove morire erano un cruciverba

Nel corso della Grande guerra i vocaboli della nuova lingua italiana si diffusero anche grazie ai passatempi dei periodici
Soldati al fronte leggono un giornale di trincea
Soldati al fronte leggono un giornale di trincea

TRIESTE Nel corso della Grande guerra i vocaboli della nuova lingua italiana parlata e scritta si diffusero tra i soldati in tutte le forme, originati dal dialetto d'origine, dal gergo spicciolo della "prima linea", dalla disciplina di caserma o introdotti dal linguaggio tecnico.

A tale propagazione capillare contribuirono i cosiddetti "passatempo" pubblicati sui cosiddetti "giornali di trincea", un genere di pubblicazioni periodiche a varia periodicità, pesantemente condizionata dagli eventi bellici, dai contenuti informativi e di svago, distribuite tra le forze armate italiane a partire dagli ultimi mesi di guerra del 1918.

Questi fogli stampati per le truppe, che non furono di esclusiva concezione italiana (altre nazioni coinvolte dalla guerra possedettero i loro e ci furono pure intensi scambi di materiale), vennero promossi su iniziativa di Armando Diaz (Luigi Cadorna ne aveva invece bocciato l'idea), con il coinvolgimento sia del settore artistico ed intellettuale del Paese sia dei giornalisti-soldati. Tra i collaboratori vi contribuirono future firme illustri come quelle di Giuseppe Ungaretti, Curzio Malaparte e Salvator Gotta.

Prevalentemente di tipo umoristico-satirico e ricchi di caricature, questi fogli ebbero circolazione limitata nel reparto militare di cui costituirono espressione, perché l'interesse del contenuto riguardava persone e casi che, fuori dal reparto stesso, non erano conosciuti e quindi non suscitavano nessuna curiosità.

"La ghirba" uno dei periodici diffisu durante la Grande Guerra
"La ghirba" uno dei periodici diffisu durante la Grande Guerra

Gli argomenti trattati dalle redazioni, soprattutto per divertire e distrarre i soldati a riposo, furono inevitabilmente quelli di chi si proponeva di alimentare uno spirito di resistenza e sacrificio, di riscossa e audacia: un motivo continuo e martellante, quasi ossessionante, era l'odio da serbare nei confronti del nemico.

Le varie decine di testate inviate al fronte si differenziano sotto tutti i profili, sensibilmente differenti una dall'altra per impaginazione, impostazione, cura e realizzazione: si andò da giornali che costituirono dei modelli di successo e riferimento a periodici con pretese ben più modeste. Se sono talvolta presenti raffinatezze tipografiche, non difettano nemmeno le pagine realizzate con i contributi dei lettori-soldati. Ogni Armata, nel corso dell'ultimo anno di guerra, venne a disporre d'una testata che seguì una propria linea, fermi restando i temi principali che in fondo accomunarono tutti i fogli pensati per i combattenti, come le insinuazioni sul nemico, le prese in giro dei governanti austro-ungarici e l'esasperazione comica dei luoghi comuni.

Il lessico utilizzato predilesse maggiormente l'espressività del sentimento piuttosto che delle ragioni, peraltro volutamente non spiegabili, del conflitto. Si trattò di un'impostazione basata su immagini di grandi dimensioni con colori vivaci e poco testo scritto, considerando che la maggioranza dei soldati aveva poca dimestichezza con la parola scritta, tanto meno con argomenti di particolare levatura intellettuale. Si fece quindi largo ricorso ad una terminologia semplice, perfino fanciullesca, secondo una formula già collaudata dal "Corriere dei Piccoli".

Sulle pagine d'intrattenimento comparvero curiose rubriche nelle quali vennero proposti i cosiddetti "giuochi di pazienza", ovvero indovinelli ed enigmi, cambi di consonante e di vocali, scambi di genere, rompicapo, "bisensi", "sciarade incatenate" e "logogrifi", ma anche "sventramenti" ed "amputazioni": oltre ai contenuti stessi, i nomi per definire i diversi tipi di passatempo richiamano inevitabilmente l'aggettivazione militaristica dell'epoca.

A giudicare dal numero di risposte ricevute, i concorsi dei giochi pubblicati sui fogli diffusi tra le truppe ottennero un certo riscontro favorevole tra i soldati, che vi si dedicarono nei momenti di riposo in retrovia, nei lunghi turni di "prima linea" e in interminabili ore vuote, di isolamento, spesso di solitudine e di separazione non soltanto fisica, senza poter mai sapere quando poteva avvenire il passaggio da una situazione relativamente tranquilla ad una di estrema precarietà.

Quel “cecchino” nato nelle trincee italiane sfotteva Cecco Beppe
Una scena da "La Grande guerra" di Monicelli

Nonostante la loro diffusione, per molto tempo i fogli riservati a uomini d'estrazione socio-culturale in larga parte povera sono stati ingiustamente sottovalutati nella loro utile funzione di introdurre, attraverso il gioco, lemmi ed espressioni della lingua italiana. Un'idea molto efficace in tal senso (peraltro alla base di un valido metodo per l'apprendimento applicato dagli insegnanti dei bambini delle scuole primarie) fu infatti quella di invitare i soldati a costruire le soluzioni dei cosiddetti "giuochi di pazienza" pubblicati.

Attraverso la costruzione grafica di esse, molti iniziarono a conoscere per la prima volta termini e locuzioni che fino a poco tempo prima non conoscevano o ignoravano del tutto. Un esempio in merito sono i nomi di località in cui tanti militari si vennero a trovare o per le quali dovettero transitare durante il conflitto (come Asiago, Montello, Pasubio, Piave, Sacile e Trieste): le lettere che li componevano, costituendo le soluzioni di svariati giochi, una volta riunite, concatenate o scoperte con l'immaginazione e il ragionamento, si impressero definitivamente nella memoria.

Per quanto riguarda le consegne dei premi ai solutori dei passatempo si legge ad esempio di libri, portasigarette in pelle, coltelli, casse di qualche "buona bottiglia" di vino, cartelle della Lotteria Nazionale della Croce Rossa, agende, carte da lettere con buste, cartoline illustrate a colori, abbonamenti al giornale, penne stilografiche, pezzi di sapone profumato, pipe inglesi e specchietti tascabili "con relativa pettinina", oppure "un kg di cioccolata finissima".

Nelle trincee della Grande Guerra, a causa della commistione tra numerosi idiomi, ci fu lo sviluppo graduale di un esteso codice di comunicazione che per la prima volta può essere accostato ad una forma scritta e orale di italiano popolare.

Non si trattò quindi esclusivamente di una lenta "acculturalizzazione" di molti analfabeti o semi-alfabeti presenti nell'esercito: fu anche un accattivante e coinvolgente modo per avvicinare i soldati alla comprensione, al padroneggiamento e all'uso quotidiano di molte parole che sarebbero entrate nel vocabolario quotidiano della nuova lingua comune.

(2 - Fine. La prima puntata è uscita il 5 agosto)

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