Su cosa competere con i cinesi
TRIESTE Parlando a Link (ottima occasione di infotainment serissimo e insieme lieve) di Via della seta e di Trieste, della Cina è uscito un ritratto fuori da luoghi e timori comuni: la questione vera non sarà tanto il rapporto con l’espansionismo di una neo superpotenza mondiale, il subirne o gestirne le ricadute sul territorio quanto il confrontarsi con ciò che oggi quel mondo significa. Non più lavoro a basso costo (i giovani ingegneri sono pagati meglio che da noi), non solo la liquidità con cui comprarsi piccole o medie attività oppure crearne di nuove in una sorta di realtà separata per regole e contratti, con cui invadere il mercato del sottocosto: piuttosto, la competitività del Dragone in termini di ricerca, perseguendo una supremazia che non poggia sui numeri (infiniti, i loro) quanto su standard di qualità e innovazione tali da mettere i brividi al mondo occidentale (o solo tradizionale, pure nell’imporre dazi o alzare ingenui muri come risposta). Non più i produttori di t-shirt sottocosto, ma quelli che con Huawei sfidano Apple, Samsung, Google, che sanno d’intelligenza artificiale e auto elettrica più di quanto ricordino di involtini primavera.
Non è un caso che di fronte all’approdo degli investitori cinesi al porto di Trieste le reazioni più lucide siano venute dalle imprese locali che su innovazione e applicazione della tecnologia scommettono da tempo. Ma resta un caso che il sistema Trieste di questa sfida non futuribile ma già dell’oggi non colga l’impulso a fare prima di tutto una cosa: sostenere chi, investire su chi punta in questa direzione; aiutare a creare un indotto più consistente dal mondo della scienza che qui abita e studia e sperimenta con risultati invidiabili; accompagnare le spinte propulsive piuttosto che garantire qualche sussistenza. Mettere in capo all’agenda della politica non l’interesse del consenso immediato ma lo sguardo lungo: perché ci sono sfide più importanti di una campagna elettorale.
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