Studio made in Trieste scopre il meccanismo di diffusione dei tumori

I ricercatori hanno osservato come crescono le metastasi I risultati sono stati pubblicati su Nature Communications
Giannino Del Sal, docente di Biologia applicata all’Università di Trieste e coordinatore del gruppo di lavoro
Giannino Del Sal, docente di Biologia applicata all’Università di Trieste e coordinatore del gruppo di lavoro

TRIESTE Non di sole cellule cancerogene si nutrono i tumori alla mammella e le metastasi. A creare un ecosistema adeguato a uno sviluppo più rapido del cancro sono anche cellule sane, influenzate da quelle maligne. Ma come avviene esattamente questo contatto? In che modo il rapporto con l’ecosistema circostante aiuta le cellule tumorali ad assumere caratteristiche metastatiche?

Interrogativi complessi, su cui si è concentrato il gruppo di ricercatori coordinato da Giannino Del Sal, docente di Biologia applicata al dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste e capo gruppo del Laboratorio di “Cancer cell signalling” all’Icgeb: «Queste cellule, insieme a una struttura extracellulare di sostegno, forniscono supporto alle cellule maligne, creando il microambiente tumorale - ha spiegato il professor De Sal, responsabile del programma “Segnalazione, microambiente tumorale e metabolismo cellulare” dell’Ifom, l’istituto Firc di Oncologia Molecolare -. Se riuscissimo a comprendere le regole di questo intricato ecosistema sarebbe più semplice individuare le giuste terapie».

La strada per rispondere a tutte le domande che la scienza pone in ambito tumorale è lunga e accidentata. Ma, intanto, i ricercatori dell’Università di Trieste, con il sostegno della Fondazione Airc, sono riusciti a illuminare una parte di quel percorso disseminato di dubbi. Avvalendosi infatti di un approccio tecnologico all’avanguardia, che unisce spettrometria di massa e microscopia elettronica, hanno svelato un meccanismo dal ruolo cruciale nel processo di metastatizzazione. Riconducibile alla trascrizione di miR-30d, un microRNA oncogeno attivo durante la mutazione della proteina p53.

Il risultato della ricerca, che si è guadagnata uno spazio sulle pagine dell’autorevole rivista scientifica Nature Communications, ha evidenziato come le cellule tumorali che presentano l’oncoproteina p53 mutata subiscano alterazioni della struttura e della funzione dell’apparato di Golgi, l’organulo cellulare che funziona da stazione di maturazione, smistamento e rilascio di proteine verso l’esterno della cellula.

«Le alterazioni strutturali delle cellule maligne – ha spiegato Del Sal – causano localmente il rilascio incontrollato di mediatori che influenzano le caratteristiche fisiche del tessuto tumorale, creando una matrice più rigida, e al contempo richiamano cellule normali all’interno del tessuto compromesso, influenzandole a favore del tumore».

In questo modo, le cellule dei vasi sanguigni incrementano l’apporto di ossigeno e di nutrienti nel tumore e stimolano al contempo le cellule tumorali a invadere i tessuti circostanti.

«Le tecniche all’avanguardia che abbiamo utilizzato ci hanno permesso di osservare come l’apparato di Golgi delle cellule tumorali si riorganizzi, favorendo un incremento della secrezione – ha aggiunto Valeria Capaci, prima autrice della ricerca –. Inoltre, il rilascio di fattori stimolato da p53 mutata esercita la propria influenza sia sul tumore primario sia in sedi secondarie, potenziando l’insorgenza di metastasi».

Adesso che un po’ di chiarezza su questo fronte è stata fatta, la squadra di ricercatori guidata da De Sal guarda già oltre, al prossimo obiettivo. Ossia al tentativo di tradurre queste nuove scoperte scientifiche in terapie capaci di tenere sotto controllo la crescita tumorale e la diffusione delle cellule tumorali metastatiche nell’organismo. —




 

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