Strukelj: «Una scuola di vita il campetto dell’oratorio»
Il campo era piccolo e dal fondo spesso accidentato, l'erba cresceva a ciuffi e solo ai margini, gli spogliatoi quasi “spartani” ma in grado di accogliere e riscaldare l'ambiente, in tutti i sensi. Il campetto di calcio dell'Esperia rievoca una delle cartoline più dolci e intense per coloro che hanno inseguito un pallone dalle parti del rione di San Giovanni a cavallo tra gli anni '60 e '70, un ricordo fatto non solo di sudore, allenamenti, molti sogni, vittorie o cadute, ma anche di vera aggregazione, caratterizzata da quel senso della compagnia da respirare sia durante una partita alla domenica che negli altri giorni della settimana sotto un tetto di un Oratorio. Altri tempi, concordano i protagonisti dell'epoca davanti a quel cantiere che strozza da più di due anni l’oratorio. Tempi diversi anche per l'approccio al calcio, cammino che prevedeva percorsi di formazione in grado di allacciare la strada all'Oratorio e che sfociavano solo più tardi in qualche società. Fu questo il copione anche per l'Esperia, sorta nel 1949 con la denominazione “Bruno Mosca” e subito avviata all'attività calcistica giovanile, prevalentemente a “7” e in tornei fuori dalla giurisdizione federale. Le cose cambiano attorno ai primi anni '60. Arriva Spartaco Ventura e la società Esperia si cementa, si allea al clima dell'oratorio di quartiere e si radica anche in un’ottica sociale.
In pochi anni il sodalizio assembla 13 squadre giovanili con Ventura in veste di tecnico ma coadiuvato da nomi come Bloccari, Giombetti, Sossi, lo stesso Vagaia. La mitica “Coppa Mekovec” è lo scenario calcistico giovanile più ambito di quegli anni, periodo che vede l'Esperia salire spesso in cattedra trascinata da giocatori che ben presto avrebbero conosciuto altri scenari, e di quelli professionistici, vivendo spesso la trafila che dal campetto oratoriale conduceva al San Giovanni e poi alla Triestina. Nascono quindi i Truant, centrocampista della Triestina nei primi anni '70, Giorgio Ianza, anche poi alla Triestina, il grande talento (sciupato) Claudio Punis, ma anche Fulvio Franca, bandiera della Unione in serie C, Gregoric, passato all'Udinese, sino a Mark Strukelj, uno che avrebbe giocato con la Roma a fianco di Pruzzo e Falcao, vivendo anche uno spezzone di finale di Coppa Campioni.
«E' vero, il dibattito ora si è riaperto – sottolinea Mark Strukelj, uno dei “figli” più illustri della generazione maturata con l' Esperia – giocavamo su un campetto a “7” ma eravamo obbligati a curare la tecnica, mantenere il controllo e sviluppare un buon dribbling. Ora si ripensa seriamente a quelle possibilità».
Strukelj, ora alle prese con un interessante carriera da tecnico, pensa soprattutto alle “altre” fonti di crescita vissute su un terreno gibboso con palloni spesso di plastica: «Provenivo dal Sant'Andrea, poi fuso con il Montuzza – ricorda Mark Strukelj – sono ricordi bellissimi perchè non parlano solo dei miei primi passi nel calcio ma dell'ambiente che si viveva. Anni intensi e fondamentali per me sotto il profilo umano, per le tante amicizie coltivate, per i pomeriggi passati nel bar dell'Oratorio, anche quando non era giornata di allenamento. Ricordo quei tempi con grande affetto – conclude l'ex Roma – sono lontani ma ben fissati nel mio animo per quanto mi hanno dato. Dentro e fuori il campetto di calcio».
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