Stretta sui finanziamenti per l'accoglienza. Tremano in 1.200
TRIESTE Mediatori culturali, assistenti sociali, insegnanti di italiano per stranieri. E ancora tutor nei corsi professionali, addetti alle pulizie e autisti. Sono tante le figure professionali che ruotano attorno all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo.
Un mondo che, contrariamente a quanto si crede, si regge solo in parte sul volontariato e dà lavoro invece a centinaia di persone. Solo in Friuli Venezia Giulia sono circa 1.200 gli operatori assunti regolarmente da cooperative e consorzi o da aziende che lavorano nell’indotto del settore. Lavoratori che ora temono di finire in mezzo ad un strada a causa del taglio dei finanziamenti deciso dal governo gialloverde.
il decreto sicurezza
Riducendo in maniera significativa i servizi offerti finora ai richiedenti asilo, infatti, il decreto sicurezza voluto fortemente dal vicepremier Salvini produce inevitabilmente effetti sull’intera economia dell’accoglienza.
Una galassia, come detto, che contiene all’interno molti pianeti: dalla gestione degli alloggi alla formazione professionale al sistema dei trasporti. Attività assicurate da aziende che, a fronte del taglio dei ricavi legati ai finanziamenti statali, non potranno far altro che ridurre il personale.
l’allarme
A Trieste i più a rischio sono gli operatori assunti da Ics, il Consorzio italiano di solidarietà, e Caritas. Alcuni di loro, fanno sapere i bene informati, sono già stati lasciati a casa nelle settimane scorse. Per sapere con precisione quanti posti di lavoro verranno cancellati, però, ci vorrà ancora un po’ di tempo.
I vertici delle due realtà attive nell’accoglienza, quindi, per ora non si sbilanciano. «Stiamo cercando di capire la situazione - sostiene Gianfranco Schiavone, direttore dell’Ics -. La situazione è in divenire, c’è ancora parecchia confusione dal punto di vista politico-amministrativo. Per ora abbiamo sentito molti proclami e poca sostanza. Ovviamente, però, a seconda di come verrà modificato il sistema di accoglienza si avvertiranno ricadute più o meno gravi». Che la questione sia di estrema importanza, lo testimonia anche la due giorni convocata a Roma per fine mese (precisamente 24 e 25 gennaio) dalla Caritas nazionale. Al centro di questo confronto tra referenti delle varie realtà territoriali ci saranno proprio gli effetti del decreto Salvini.
i numeri di trieste
Nel capoluogo regionale - città-simbolo in un certo senso dell’accoglienza diffusa e protagonista di vari progetti pilota sul piano della microspitalità - sono circa 200, tra operatori e mediatori culturali, i lavoratori messi sotto contratto da Ics e Caritas. A loro si aggiunge un altro centinaio di persone impiegate nelle attività correlate all’accoglienza: servizi di integrazione sociale, insegnamento dell'italiano nei corsi di lingue per adulti, percorsi professionali a cui vengono indirizzati i richiedenti asilo.
«Nel 2018 abbiamo iscritto ai corsi di formazione 500 persone, avviato 60 borse lavoro in altrettante aziende locali e organizzato ben 1.500 corsi di italiano - spiega ancora Schiavone -. Quello che va messo a fuoco è che l’economia dell'accoglienza è un’economia del territorio. A noi non rimane niente, ridistribuiamo tutto sul territorio».
i fondi statali
La riduzione dei fondi destinati dallo Stato all’integrazione dei migranti annunciata dall’esecutivo ha proporzioni importanti: dagli oltre 30 euro al giorno per ogni richiedente asilo si passerà a circa 21 euro. «Se questi dati dovessero venir confermati - osserva il numero uno dell’Ics - andremmo incontro a scenari gravi.
Dovremmo quindi ripensare al numero dei nostri collaboratori ma anche, ad esempio, tagliare gli abbonamenti degli autobus che sottoscriviamo mensilmente per i migranti. Abbonamenti per i quali versiamo alla Trieste Trasporti circa 400 mila euro l’anno.
Una cifra che l'azienda di trasporto pubblico non incasserebbe più, anche perché molti richiedenti asilo, probabilmente, continuerebbero ad utilizzare i mezzi ma senza pagare biglietto».
Gli alloggi
C'è anche da considerare l'aspetto legato agli appartamenti che le realtà che si occupano di accoglienza affittano da privati. Un’altra voce importante delle ricadute economiche sul territorio. Attualmente a Trieste l’Ics ha in locazione 150 appartamenti sparsi un po’ in tutta la città. Un’eventuale stretta sui budget a disposizione dell’ospitalità non potrà non tradursi in una riduzione del “parco alloggi”, con conseguenze sospensione dei contratti già stipulati con decine di padroni di casa.
le prime avvisaglie
Come detto alcuni tagli al personale, seppur minimi per ora, a Trieste sono già stati avviati. Alcuni operatori che avevano un contatto in scadenza, non l’hanno visto rinnovare.
Uno scenario già realizzatosi in maniera chiara in un’altra realtà del Friuli Venezia Giulia: quella di Udine, una delle prime città italiane dove un bando prefettizio “ponte” della durata di quattro mesi ha già recepito i nuovi parametri imposti dal decreto Salvini.
il capoluogo friulano
A Udine le persone assunte dalle diverse realtà che si occupano di accoglienza sono un’ottantina.
A queste si aggiunge un piccolo di esercito di altre decine di persone attive nell’indotto. «Non percepiamo più 32 euro bensì 21,35 euro al giorno, - testimonia Giovanni Tonutti, presidente dell'associazione Oikos che fino a poco tempo fa ospitava 55 richiedenti asilo e oggi ne accoglie 47 all’interno di dieci appartamenti -.
Ho dovuto mandare a casa cinque degli otto operatori messi sotto contratto fino all’anno scorso, avviare tagli alla formazione e alla fornitura dei pasti, e non rinnovare nemmeno gli abbonamenti al trasposto pubblico locale.
Nonostante questi tagli, ci andiamo comunque a rimettere». Tonutti anticipa che, alla fine dei quattro mesi di bando, la Oikos farà le sue valutazioni. E non è nemmeno escluso che si sfili dalla partita dell’accoglienza, diventata appunto insostenibile dal punto di vista finanziario.
il quadro a gorizia
Preoccupazione viene espressa anche da Giovanni Barbera, coordinatore delle strutture Ics nella provincia di Gorizia, che accolgono 44 persone con sei operatori. «Precludendo certi tipi di percorsi, le opportunità di integrazione finiranno per estinguersi, - valuta -. Non si possono parcheggiare delle persone e lasciarle nel limbo, senza nemmeno attività di formazione, fino a quando non si ottiene lo status di asilo politico».
Restando a Gorizia, Giovanna Corbatto, presidente della cooperativa Murice che con sei operatori accoglie 42 persone, rileva un altro rischio. «Noi dovremo tagliare anche il servizio di psicologo che offriamo per trattare in autonomia certe fragilità, - spiega - e senza registrazione all'anagrafe i richiedenti asilo non avranno più un medico di base. Questa situazione ricadrà su un sistema sanitario già in sofferenza». —
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