Strage di via D’Amelio, Mario Bo verso il processo bis
TRIESTE La Procura di Caltanissetta ha chiesto la riapertura del processo a carico di Mario Bo, il funzionario di Polizia che ha fatto parte del pool investigativo sulla strage di via D’Amelio a Palermo, l’attentato di stampo mafioso del 19 luglio 1992 in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, tra i quali il triestino Eddie Walter Cosina. Per il dirigente, che prima di passare all’Anticrimine di Gorizia era stato capo della Squadra Mobile di Trieste, la Procura ha proposto il rinvio a giudizio.
Il fascicolo è collegato al presunto depistaggio sull’inchiesta avviata sull’attentato: l'accusa è di calunnia in concorso. Oltre a Bo, sono coinvolti altri agenti che facevano parte dello stesso gruppo investigativo: Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Su di loro pesa la medesima ipotesi di reato. L'udienza preliminare non è stata ancora fissata.
Bo era stato già indagato per gli stessi fatti: si ipotizzavano possibili pressioni su tre collaboratori di giustizia, poi smentiti dal pentito Gaspare Spatuzza, che sarebbero stati indotti a costruire una falsa verità sulla fase esecutiva della strage. Un’indagine in cui erano finiti, oltre a Bo, anche l’ex questore di Bergamo Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera, già in servizio alla Criminalpol.
Nel gennaio 2016 Bo aveva però ottenuto l'archiviazione analogamente ai colleghi.
Su quali elementi investigativi si muove allora questo nuovo filone processuale? «Le indagini sono state riaperte - conferma l’avvocato dell’ex capo della Mobile di Trieste, Nino Caleca - sulla base della rivalutazione delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, che il primo giudice aveva già valutato ritenendole inattendibili. Adesso la Procura domanda la riapertura su ulteriori dichiarazioni e il gip l’ha accordata. Affronteremo il processo - conclude il legale - e dimostreremo l’innocenza di Mario Bo. Le accuse contro di lui sono infondate». —
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