Stop alla musica straniera. Budapest vara il piano a difesa del pop magiaro

Stanziati 60 milioni per promuovere il repertorio tradizionale. E Varsavia pensa a un tetto per i brani non polacchi in radio
Uno spettacolo al The Budapest Operetta Theater
Uno spettacolo al The Budapest Operetta Theater

BELGRADO Dal sovranismo intrecciato al populismo sul fronte politico al “pop-ulismo” musicale e culturale il passo è breve. Si potrebbe sintetizzare così la nuova battaglia che Ungheria e Polonia, i Paesi più a destra nell’Europa centro-orientale, si apprestano a combattere per difendere e promuovere la musica tradizionale e di produzione magiara e polacca, inevitabilmente a discapito di quella straniera.

Lo suggeriscono diverse mosse delle autorità di Varsavia e Budapest, con quest’ultima impegnata a elaborare un piano per la promozione della musica rock e pop, sempre che sia rigorosamente prodotta in Ungheria da artisti magiari. Piano, ha svelato l’agenzia France Presse, irrobustito da cospicui investimenti, con un budget da oltre 60 milioni di euro, che dovranno essere distribuiti ad autori, gruppi e cantanti ungheresi, ma con una parte dei fondi destinata «alla ricerca di talenti» e alla loro crescita, mettendo a loro disposizione «studios e luoghi per mettere in scena» concerti e performance.

Anima del programma è Szilard Demeter, artista e intellettuale filo-Orban, celebre per aver paragonato in passato Adolf Hitler a George Soros, la nemesi del premier magiaro. Il punto dell’iniziativa è di «produrre pop e rock ungherese di qualità» e di conseguenza «costruendo l’identità» nazionale attraverso musica e cultura, ha spiegato Demeter, che si definisce «orbanista» al 110%. Difesa della musica nazionale che sarebbe obbligata, nella lettura di Budapest. «C’è una guerra culturale in corso e il punto più importante è capire se la cultura ungherese esisterà ancora fra cento anni», sopraffatta forse anche da pop e rock d’importazione. Da qui il piano milionario per promuovere le canzonette locali. Sarebbe infatti quella l’unica «garanzia di sopravvivenza», il vivere ascoltando ogni giorno in sottofondo la radio, «la nostra cultura nazionale», difendendo la propria «identità» che si sarebbe indebolita negli ultimi decenni. Ma risuonano dissonanti anche altre campane, come quella di artisti e musicisti che hanno sottolineato i rischi di «indottrinamento» di una campagna del genere o addirittura evocato lo spettro incombente della censura, attraverso la negazione di aiuti, a chi non appoggia apertamente il governo e il premier Orban.

E non c’è solo Orban, a Est, come confermano gli incontri con Salvini e il premier polacco Mazowiecki. Proprio in Polonia si sta lavorando a piani simili a quelli magiari, riservati però alle radio, che in un futuro potrebbero essere obbligate a trasmettere almeno il 49% di musica “made in Polska”, rispetto al già alto 33% attuale, la quota più alta in Europa. L’idea è del partito Diritto e Giustizia (Pis), l’alter ego a Varsavia del Fidesz magiaro, ma è stata accolta da una sollevazione da parte di centinaia di emittenti, che hanno parlato di «conseguenze catastrofiche», con tante radio di nicchia e non, per nulla interessate alla musica locale, costrette a chiudere i battenti. Col risultato di un crollo della qualità, dato che non ci sarebbero abbastanza autori e cantanti polacchi. Per alimentare un mercato sempre più autarchico. —
 

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