Stjepan Mesic: Balcani uniti nell’Ue, ma non contro Mosca

Intervista all’ex presidente croato che riafferma la sua fede nell’Europa e ricorda il suo tentativo di salvare la Jugoslavia
Stjepan Mesic
Stjepan Mesic

ZAGABRIA. Ultimo presidente della Jugoslavia unita e capo di Stato croato dal 2000 al 2010, Stjepan "Stipe" Mesic è una delle figure più importanti della politica croata.

Presidente, sono passati 25 anni da quando lei era l'ultimo capo di stato jugoslavo. Che cosa auspica oggi per gli Stati dei Balcani?

Ho 82 anni, ma sono certo che vivrò abbastanza per vederli tutti riuniti nell'Unione europea. L'Ue ha certo molti problemi, bisogna risolvere la crisi delle istituzioni, creare una vera unione monetaria e fiscale, ma è questo il futuro che auguro ai Balcani.

Perché è così importante l'integrazione europea?

Perché l'Europa unita è indispensabile ad unire il mondo, perché tutte le guerre mondiali sono iniziate in Europa. Gli aggressori hanno sempre giustificato il conflitto che muovevano come una necessità per proteggere le proprie minoranze nazionali residenti negli altri paesi. Quando anche gli ultimi stati dei Balcani faranno parte dell'Unione europea, quando saremo tutti uniti e le frontiere tutte aperte, non ci saranno più margini per sottrarre un territorio ad un altro Stato, perché non ci saranno più Stati.

L'Europa unita come antidoto alle guerre, dunque?

Non solo. L'Europa unita sarà un grande attore economico, in grado di competere con gli Stati Uniti, la Cina, l'India e il Brasile. Ecco, non bisogna però che l'Europa venga costruita in chiave anti-russa, questo non è un motivo valido. In tutta la mia carriera, sono sempre stato favorevole allo sviluppo dell'Unione europea, ma con dei buoni obiettivi e non contro la Russia.

La settimana scorsa, in occasione del vertice Brdo-Brioni a Sarajevo, il presidente sloveno Pahor ha affermato che un'eventuale "Brexit" il 23 giugno potrebbe congelare l'integrazione europea. Lei non ha questo timore?

No. In caso di un'uscita del Regno unito dall'Unione europea, il danno più grande lo avrebbe proprio Londra. Ma non dobbiamo dimenticare che l'Ue è un club politico ed economico d'élite e che per farvene parte bisogna rispettare degli standard molto alti. Molti Stati dei Balcani sono ancora lontani da questi standard. Il cammino europeo della Bosnia-Erzegovina, ad esempio, sembra molto lungo. La Bosnia-Erzegovina (Bih) ha molti problemi. Gli Accordi di Dayton hanno messo fine alla guerra ma non hanno creato uno stato funzionante. Inoltre, i croati e i serbi della Bih continuano a fare riferimento troppo spesso alla Croazia e alla Serbia. Da Zagabria e da Belgrado dovrebbero arrivare dei messaggi chiari che dicano loro: "il vostro Stato è la Bosnia-Erzegovina, la vostra capitale è Sarajevo". Rendiamocene conto: la Bosnia non è la Jugoslavia, non è composta da Repubbliche e la sua spartizione non sarà mai accettata a livello internazionale. Bisogna smetterla con i messaggi ambigui.

A proposito di messaggi ambigui, il nuovo governo croato non sta dando un buon esempio al resto della regione...

No, la Croazia è oggi di cattivo esempio. Il nuovo esecutivo è formato da elementi filo-ustascia, filo-nazisti, che vorrebbero cambiare il risultato della Seconda guerra mondiale.

Lei stesso è in lotta contro il governo del Premier Tihomir Oreskovic, che ha deciso di chiudere questo ufficio a cui lei ha diritto in quanto ex presidente. Come mai?

Perché sono un antifascista e questo non piace al governo. Ufficialmente, dicono che la situazione economica del paese non permettono più di finanziare questo ufficio, ma è ridicolo, parliamo di 700-800mila kune all'anno (circa 100mila euro). È una decisione politica.

La settimana scorsa, lei si è anche recato a Kumrovec per il compleanno di Tito. Un altro gesto che non è piaciuto alla nuova classe dirigente. Perché festeggiare la nascita del leader jugoslavo nel 2016?

Perché è Tito che ha reso possibile la Croazia indipendente che abbiamo oggi. Se non fosse stato per la lotta partigiana durante la Seconda guerra mondiale, la Jugoslavia non sarebbe diventata una federazione nel 1945, ma sarebbe rimasta uno stato unitario e monarchico com'era prima del conflitto. Grazie al concetto di federazione e grazie alla costituzione del 1974 approvata da Tito, la Croazia ha dunque potuto diventare indipendente negli anni Novanta. Ma questo i revisionisti non lo capiscono.

L'ha incontrato il nuovo ministro della Cultura croato, Zlatko Hasanbegovic, accusato proprio di revisionismo?

L'ho incontrato una volta, ma se lo rivedessi non saprei che dirgli. Denuncia i crimini del regime ustascia (Ndh), ma non rimette in discussione il concetto stesso. È un fanatico.

Guardando alla situazione attuale dei Balcani, col ritorno del nazionalismo in alcuni stati e il persistere di autoritarismi in altri, le capita ogni tanto di rimpiangere la vecchia federazione socialista?

Sono convinto che nella Storia accade sempre quello che deve accadere. Non siamo stati in grado di trovare un compromesso politico, un nuovo modello, ed è successo quello che sappiamo. Mi dispiace ovviamente per la guerra inutile che abbiamo attraversato, che ha fatto più di 100mila morti. In quanto alla Jugoslavia, aveva sicuramente molti aspetti positivi, come l'educazione e la sanità gratuita, la sicurezza dell'alloggio, ma non offriva libertà politiche.

Quale avrebbe potuto essere il "modello alternativo"? Come poteva andare diversamente?

Da ultimo presidente, la mia proposta fu quella di passare dalla federazione alla confederazione. La Jugoslavia aveva perso i suoi tre fattori aggreganti: Tito era morto, il Partito comunista si era disgregato e l'esercito (Jna) aveva trovato uno "sponsor" nel regime di Slobodan Miloševi„. Io volevo che le diverse repubbliche si dessero dai tre ai cinque anni per creare una nuova struttura comune. Se no ognuno per la propria strada, ma tutti comunque verso l'Europa.

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